L’acquacoltura continua a prospettarsi come unica alternativa capace di soddisfare la sempre crescente domanda mondiale di pesce. Il modello da seguire, secondo gli addetti ai lavori e visti i risultati, è quello norvegese.
In Norvegia il settore dell’acquacoltura è fondato su un modello di sviluppo sostenibile, cioè tale da non compromettere la capacità di approvvigionamento per le generazioni future. La sostenibilità del mare è quindi il fattore attorno al quale gravita la massima attenzione da parte degli operatori.
I problemi principali che gli acquacoltori norvegesi si trovano a dover affrontare sono strettamente collegati alla fuga dei salmoni dagli impianti di allevamento e i pidocchi di mare (Lepeopththeirus salmonis). Diverse le misure poste in essere per fronteggiare la fuoriuscita dei pesci dalle gabbie. Nel decennio 2006/2016 si è riusciti ad arginare il fenomeno riducendo le fughe del 80%. In merito ai pidocchi di mare sono stati adottati diversi metodi per fronteggiare il problema: l’impiego di pesci pulitori, l’utilizzo di un Thermolicer (tecnologia idroelettrica e termica che lava e raccoglie i pidocchi del mare) e il trattamento con farmaci regolarmente autorizzati.
L’impatto ecologico relativo alla produzione è un altro fattore determinante quando si parla di sostenibilità.
Quello relativo alla produzione di salmone in Norvegia ha una bassa impronta ecologica. Il dato relativo alle emissioni di anidride carbonica rilevato da SINTEF, NTNU e SIK è positivo: per produrre 1 chilo di salmone vengono emessi solo 2.5 kg di CO2 (il maiale ha un‘impronta ecologica di 5.9 kg di CO2 il manzo genera 30 kg di CO2).