Acquacoltura, nuove frontiere: allevare vermi marini 1oo% italiani – Non solo spigole e orate. L’acquacoltura, attività che ancora oggi ha numerose possibilità di sviluppo che vanno oltre la riproduzione delle tradizionali specie ittiche destinate al consumo alimentare, guarda a una nuova frontiera in termini di specie animali allevabili con l’obiettivo di coniugare sfruttamento sostenibile delle risorse marine e tutela della biodiversità: i vermi del Mediterraneo, impiegabili sia come esche sia come mangimi naturali per i pesci che si trovano nei medesimi impianti di acquacoltura. Una nuova tipologia di allevamento che punta in particolare sulla riproduzione artificiale di quei vermi attualmente raccolti a mano con metodi impattanti sugli ambienti in cui essi vivono, e che rivestono una strategica importanza nel mercato delle esche per la pesca sportiva come nel caso della cosiddetta tremolina (Hediste diversicolor).
Questo modello di acquacoltura innovativo è oggi realtà grazie al progetto sperimentale ‘Studio della riproduzione in cattività del verme del Mediterraneo tremolina (Hediste diversicolor)’, ideato e promosso dall’istituto di ricerca scientifica Unimar e dalla Fipo (Federazione italiana produttori operatori articoli pesca sportiva) con la collaborazione del C.I.R.S.PE (Centro italiano ricerche e studi sulla pesca), e sostenuto dal ministero delle Politiche agricole tramite fondi della Comunità europea per la pesca e l’acquacoltura. L’iniziativa progettuale, partita nei mesi scorsi e in fase di realizzazione, prevede uno studio sugli aspetti tecnico-biologici dell’allevamento in cattività di esemplari di tremolina raccolti in ambiente naturale dai ricercatori del CNR Ismar di Venezia e del C.I.R.S.PE, in sinergia con il Centro ittiogenico sperimentale delle Saline di Tarquinia dell’Università di Viterbo. Nei laboratori dei due enti di ricerca circa un mese fa si è dunque registrato il primo successo dell’esperimento: negli acquari di Venezia e Tarquinia si sono riprodotti spontaneamente diversi esemplari di tremolina, e a Tarquinia sono stati inoltre raggiunti eccellenti risultati per quanto riguarda l’ingrasso di questi animali. Un risultato positivo e concreto che offre ai biologi e al comparto della pesca una prospettiva tutta da esplorare in termini di nuove specie animali per l’acquacoltura, con possibili vantaggiose ricadute economiche per le aziende del settore ittico.
“Per quanto possa apparire bizzarro, allevare vermi marini è un’attività che può offrire un reale contributo in termini di sviluppo commerciale a diverse imprese dell’intero mondo della pesca – afferma il presidente della Fipo Ciro Esposito -. Se infatti alla conclusione del progetto i test, che ci auguriamo avranno un generale esito positivo, riusciranno a definire un modello di allevamento della tremolina con dati certi sui quantitativi di animali che possono essere riprodotti in cattività, sulle metodologie di stabulazione dei policheti e sui costi per alimentare e gestire i riproduttori, nel futuro prossimo potremo realizzare una nuova tipologia di azienda dedita all’acquacoltura dei vermi del Mediterraneo che fornirà, a costi più contenuti di quelli attuali, esche per la pesca sportiva e mangimi biologici per integrare la dieta dei pesci di allevamento”.
Il progetto è stato accolto con favore dalle istituzioni nazionali e comunitarie che ne sostengono finanziariamente gli sforzi economici mediante il Feamp (Fondo europeo affari marittimi e pesca), ed è un valido esempio di collaborazione e di condivisione di buone pratiche nella gestione delle risorse ambientali da parte di due attori economici che di norma operano su contesti differenti: le imprese della pesca sportiva e le imprese della pesca professionale.
“Aver unito i nostri sforzi con quelli delle aziende e dei centri di ricerca della pesca di professione è stata probabilmente la carta vincente per dare avvio all’iniziativa progettuale – aggiunge il presidente della Fipo Ciro Esposito -. La strada è ancora lunga per arrivare ad una conclusione sulle possibilità di allevare tremolina in quantitativi adeguati per le esigenze del mercato, sebbene i primi risultati siano incoraggianti, ma al di là degli scenari ipotetici di nuovi posti di lavoro e di nuove figure imprenditoriali nell’acquacoltura, ciò che ci rende più entusiasti sono gli aspetti di tutela dell’ecosistema marino collegati all’allevamento di questo verme, che è un elemento basilare nella catena alimentare del Mediterraneo. Essere riusciti a riprodurlo artificialmente ci consente infatti, già da oggi, di poter ritenere di ridurne il prelievo nel suo ambiente naturale, attività che viene svolta con modalità impattanti per i nostri mari perché effettuata a mano con l’ausilio di pale, smuovendo energicamente la sabbia e, in diversi casi, danneggiando i delicati equilibri dei fondali del nostro amato Mediterraneo”.
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