Quello della pesca illegale è un problema globale. In Africa un pesce su quattro è catturato illegalmente e ciò nonostante gli sforzi di molti paesi messi in atto per superare combattere il fenomeno.
Secondo Stop Illegal Fishing, organizzazione no-profit indipendente con base in Africa che si dedica a porre fine alla pesca illegale nelle acque del continente, la maggior parte degli stati marittimi africani sta compiendo sforzi continui per porre fine alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU-INN) ma è necessario un maggiore slancio se si vuole che la “Nuova frontiera del Rinascimento africano” si realizzi.
La pesca illegale sta minacciando la sostenibilità degli stock ittici, danneggiando l’ecosistema, privando i governi dei redditi e la popolazione africana dei loro mezzi di sostentamento, a sostenerlo è Peter Thomson, inviato speciale delle Nazioni Unite per l’Oceano, intervistato da Seafood Source. E il problema sta colpendo la maggior parte delle regioni africane; 38 dei 54 paesi africani hanno confini costieri e molti paesi dell’entroterra hanno vasti laghi, anch’essi colpiti dalla pesca illegale e da pratiche di pesca inadeguate.
La questione della INN in Africa è stata ben studiata e sono state proposte numerose soluzioni. Nel 2016, l’Overseas Development Institute e il gruppo spagnolo di ricerca e giornalismo PorCausa hanno utilizzato il monitoraggio satellitare per osservare i metodi e le dimensioni del problema, sottolineando che la colpa era in parte attribuibile ai trasbordi, alla mancanza di ispezione delle spedizioni containerizzate, ai quadri legali inadeguati, alla scarsa tecnologia e alla mancanza di volontà politica. Secondo il rapporto, sviluppando e proteggendo la pesca in Africa si potrebbero generare circa 3 miliardi di dollari (2,6 miliardi di euro) in entrate supplementari e circa 300.000 posti di lavoro.
Secondo Greenpeace, la Cina, che è la più grande potenza di pesca nell’Africa occidentale con più di 500 pescherecci industriali che operano nelle acque della regione, deve svolgere un ruolo più importante nel reprimere le pratiche illegali nella sua flotta, compreso l’uso diffuso di reti illegali e il frequente impegno nel Praticare lo shark-finning. Spronata dalla crescente intolleranza a nome dei governi di molte nazioni africane, la Cina si sta adoperando in questo senso. Dal 2016, la Cina ha annullato sussidi per un valore di 111,6 milioni di dollari (99,3 milioni di euro) per 264 pescherecci che praticavano la pesca illegale. La Cina ha anche revocato le licenze per la pesca in acque lontane di diverse compagnie e stilato delle black list per i capitani delle navi in questione.
Nel 2017, Oceana ha rivelato che tutti i paesi europei, tra cui Grecia, Italia e Portogallo, avevano autorizzato la pesca illegale al largo delle coste africane. Nell’aprile 2018, Oceana ha anche identificato e rintracciato una nave commerciale spagnola che ha disattivato il suo sistema di localizzazione automatica (AIS) mentre pescava nelle acque di almeno cinque paesi africani.
Secondo Thomson, una svolta importante nella guerra contro la pesca INN in Africa si è svolta nel 2017 alla Conferenza Oceani dell’ONU, in cui le Nazioni Unite hanno delineato una serie di Obiettivi di sviluppo sostenibile progettati per stimolare i progressi negli sforzi di sostenibilità incentrati sull’oceano.
Thomson ha detto che un obiettivo in particolare, l’obiettivo 14, relativo alla conservazione e allo sviluppo sostenibile delle risorse marine, ha creato un cambiamento di atteggiamento e ha ispirato maggiori sforzi per partecipare a iniziative incentrate sull’oceano.
Nel corso dell’intervista Thomson ha menzionato il lavoro del G7 sull’azione oceanica, la carta blu del Commonwealth, i progressi conseguiti nella Dichiarazione di tracciabilità del tonno 2020 e la creazione di numerose aree marine protette come parametri di riferimento nello sforzo di migliorare la salute degli oceani del mondo.
Sulla questione della gestione degli stock ittici, il 30 agosto 2018, l’Indonesia e la Namibia hanno convenuto di combattere congiuntamente la pratica della pesca illegale, che rimane diffusa nelle rispettive aree marittime. Nell’Africa occidentale, con le violazioni che minacciano sempre più i mezzi di sostentamento dei suoi pescatori e la sua sicurezza alimentare, il Ghana ha intensificato la propria lotta contro la pesca illegale. Funzionari della Ghanaian Enforcement Unit hanno raddoppiato i loro sforzi per fermare la pratica illegale conosciuta localmente come “saiko”, che si pensa sia responsabile di 100.000 tonnellate di catture illegali e non dichiarate nel 2017, con un valore stimato di USD 34-65 milioni di euro (da 29,1 a 55,7 milioni di euro).
Nello studio ” Africa’s Blue Economy Handbook ” , la Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (UNECA), ha sottolineato come affrontare la pesca illegale, oltre a combattere l’inquinamento marino e la pirateria, può rendere possibile una crescita economica rapida e diversificata in tutto il continente.
Recentemente l’UNECA ha iniziato a fornire più sostegno a livello locale, nazionale e regionale per supportare lo sviluppo della “Blue Economy” africana.
Photo: Greenpeace