Solo fino a qualche anno fa, era considerato un tabù l’acquisto di pesci d’allevamento, ma ora, gli esperti sostengono che l’acquacoltura potrebbe essere l’unico modo per garantire il consumo sostenibile di prodotti ittici. La chiave di questo apparente paradosso è trovare qualcosa di sostenibile per nutrire i pesci d’allevamento.
Secondo Jacqueline Claudia, founder di LoveTheWild e membro del consiglio di amministrazione del National Fisheries Institute, le idee errate intorno alla innata insostenibilità dei pesci d’allevamento iniziarono negli anni ’70.
“Ad essere onesti, sono state diverse le percezioni negative sull’acquacoltura: sovraffollamento, dipendenza da pesci selvatici per l’alimentazione, malattie, uso di antibiotici, pesce di scarsa qualità e devastazione ambientale”, spiega Jacqueline Claudia.
Monica Jain, founder di Fish 2.0, ritiene responsabili, della diffusione di idee sbagliate sull’acquacoltura, il proliferare di allevamenti di salmoni negli anni ’90, molti dei quali continuano ad essere ancora insostenibili nonostante gli sviluppi che avrebbero consentito di migliorarne le politiche e le pratiche.
“Gli ambientalisti hanno allertato: <<Fate attenzione quando acquistate salmone d’allevamento, perché c’è un sacco di prodotto insostenibile in giro>>, ha spiegato Jain. “Ma la maggior parte delle persone ha capito: <<Il pesce d’acquacoltura è insostenibile”.
Questi falsi miti, secondo Jain, crearono una specie di profezia: gli acquaculturisti che hanno implementato le migliori prassi non sono riusciti a crescere sul mercato a causa di concezioni preconcette sui loro prodotti e quindi gran parte dei pesci d’allevamento continuò ad essere insostenibile.
Ma di questi tempi, la situazione dei pesci selvatici non sembra essere di gran lunga migliore. Mentre Claudia osserva che si tratta di una risorsa che “stiamo imparando a gestire meglio”, la verità della questione è che non c’è abbastanza pesce selvaggio per tutti.
“La popolazione mondiale aumenta di 200.000 bocche al giorno, e queste persone hanno bisogno di mangiare”, spiega Claudia, che fa anche notare che i prodotti ittici stanno diventando sempre più richiesti in tutto il mondo, in gran parte per via dei maggiori effetti benefici sulla salute e sull’ambiente rispetto ad altre proteine animali. “Non è possibile aumentare la quantità di pesci che peschiamo in modo sostenibile in modo da mantenere la richiesta”.
Aggiungete a questo il fatto che i pesci selvatici oggi sono spesso contaminati a causa dell’inquinamento degli oceani e la pesca selvaggia e incontrollata è diventata un problema in tutto il mondo. L’acquacoltura emerge come una possibile soluzione sostenibile, ovviamente se è fatta correttamente.
I pesci d’allevamento devono essere nutriti. Il problema è che la maggior parte dei pesci commerciali – salmone, trota, spigola – sono carnivori, il che significa che si nutrono di altri pesci più piccoli. Questo, purtroppo, può portare ad una situazione d’insostenibilità per i pesci selvatici utilizzati per alimentare i pesci d’allevamento.
La chiave per far fronte al problema, secondo Jain, è che gli innovatori del settore mangimistico stanno creando alimenti per l’acquacoltura che imitano le proteine essenziali e le sostanze nutritive contenute nei mangimi a base di pesce senza toccare però le risorse oceaniche. “In passato, è stato difficile trovare proteine e nutrienti in organismi diversi dai pesci”, dice Jain. Questo, per fortuna, non succede più.
Mosca soldato (Hermetia illucens), microbi, batteri e alghe fermentate, sembrano essere tra i principali candidati per l’impiego in mangimistica sostenibile.