La querelle sorta tra il Prof. Danovaro (Docente dell’Università Politecnica delle Marche e Presidente della Stazione Zoologica di Napoli A. Dohrn) e l’Alleanza delle Cooperative Italiane del settore pesca (che comprende Fedagripesca di Confcooperative, il Dipartimento Pesca di Legacoop Agroalimentare e AGCI Agrital) sulla sostenibilità della pesca delle vongole e l’impatto delle draghe idrauliche sui fondali marini è un chiaro esempio di inevitabile incomprensione tra interlocutori che si parlano ma di cose diverse, dando vita ad una commedia degli equivoci.
La reazione dell’Alleanza – e non del “Presidente dei vongolari” ma della Organizzazione nazionale più rappresentativa della pesca italiana – alla lettera mandata dal Professor Danovaro al Corriere Adriatico (che non pubblica però le lettere di risposta) non ha mai, in nessuna riga della lettera aperta, confutato l’esistenza di un impatto delle draghe idrauliche sull’ambiente marino.
Le draghe idrauliche, come qualsiasi altro attrezzo di pesca ad oggi consentito dalla normativa italiana ed europea, hanno sicuramente un impatto sull’ambiente marino ed in particolare sui fondali. Non si tratta di negare questo. Si tratta, per tutti i sistemi di cattura e quindi anche per le draghe, di stabilire se questo impatto è sostenibile, ed entro quali limiti. Il concetto di sostenibilità (che riguarda, in modo interconnesso, l’ambito ambientale, quello economico e quello sociale) di una attività di cattura in mare, dallo strascico alla circuizione, dalle reti da posta ai palangari, non implica che l’ambiente e gli stock interessati (che siano bersaglio o catture accessorie) ne debbano essere intoccati e non subire nessun impatto; per ottenere questo non dovrebbe esistere la pesca.
La sostenibilità implica che venga assicurata la rinnovabilità delle risorse ittiche pescate e che l’ambiente marino in generale non subisca danni irrisolvibili, ma superabili grazie alla resilienza di tutti gli organismi coinvolti, oltre che dell’ambiente chimico e fisico in cui questi vivono; nel contempo lo stesso concetto prevede che vengano soddisfatte le aspirazioni economiche della comunità e salvaguardati i livelli occupazionali.
Ora, trattandosi di una attività esercitata da un attrezzo di cattura consentito da decenni, e che lavora con una certa intensità soprattutto in Adriatico, è difficile a nostro avviso affermare che la pesca delle vongole con le draghe idrauliche abbia effetti devastanti sui fondali al punto di minacciare la sopravvivenza di spatangidi, dei moscioli di Portonovo o di altre specie dei fondali. Se così fosse queste si sarebbero già estinte o drasticamente ridotte, cosa che non risulta in bibliografia.
Nessuno studio del CNR o di altri Istituti ha mai sostenuto l’impatto zero, ma molti studi, anche del CNR oltre che di varie Università, hanno sostenuto che la pesca delle draghe idrauliche è sostenibile per gli stock bersaglio e per l’ambiente che da decenni subisce l’impatto di questo attrezzo senza esserne compromesso. La certificazione di MSC per il prodotto di OP “Bivalvia Veneto” nasce da questo e non dal tentativo di ridurre gli impatti dato che si tratta di un prodotto pescato esattamente con lo stesso sistema di cattura, e questo a prescindere dalle aree di miglioramento che dovranno essere sviluppate nei prossimi anni per mantenere la certificazione.
Le draghe idrauliche che conferiscono il prodotto a questa OP sicuramente rispettano le regole, come le circa 700 che lavorano in tutta Italia. Se qualcuna di queste non rispetta il limite di 0,3 miglia dalla costa fa pesca illegale che va contrastata e colpita come qualsiasi altra forma di pesca illegale effettuata con qualsiasi altro attrezzo di cattura, ma non è per l’esistenza di infrazioni che si può abolire una attività produttiva o un attrezzo.
Nessuno pensa di abolire le automobili perché qualcuno passa gli incroci con il semaforo rosso. Per quanto poi attiene al discorso della taglia minima di conservazione della vongola (definita a suo tempo a 25 mm arbitrariamente per un animale che si riproduce già a poco più di 10 mm) che l’Italia ha chiesto ed ottenuto di ridurre a 22 mm, questa non è dovuta al sovra sfruttamento che sta rendendo la taglia sempre più piccola ma al contrario all’aumento di densità della popolazione per unità di superficie che ha un effetto diretto sulla composizione delle fasce di taglia dello stock.
Non stiamo parlando di molluschi come il dattero che per arrivare a 10 cm impiega non 10 ma100 anni. Il problema della gestione della pesca è in generale materia complessa, e le vongole non fanno eccezione. La flotta è specializzata, fermare questo mestiere significherebbe demolirla, con conseguenti effetti economici ed occupazionali che devasterebbero le comunità di pescatori, ma parlare di un piano di riconversione (attuato molti anni fa per ridurre la flotta con l’impiego di ingenti fondi pubblici) non è oggi realistico.
La Direzione Generale della Pesca e dell’Acquacoltura del MIPAAF, con la collaborazione dei Consorzi di Gestione Molluschi, dell’Alleanza delle Cooperative e di tutto il sistema associativo nazionale, oltre che di Università e Istituti scientifici tra cui il CNR, sta gestendo il comparto al meglio, giocando una complicata quanto delicata partita con Bruxelles per l’attuazione del Piano Rigetti ex art.15 Reg.1380/2013. È in corso una guerra commerciale con la Spagna, tra i principali mercati bersaglio del prodotto italiano, in cui si registrano anche spiacevoli strumentalizzazioni dell’emergenza coronavirus in corso nel nostro Paese.
Negli ultimi anni il comparto, grazie proprio all’abbassamento della taglia minima, ha abbassato lo sforzo di pesca di un terzo e sta compiendo ulteriori passi per razionalizzare e regolare sempre meglio prelievo e mercato. Intervenire in questa fase con articoli e lettere ai giornali parlando di impatti devastanti di una flotta da riconvertire è roba da elefanti nel proverbiale negozio di cristalli. Così facendo si rischia solo di fare danni e di compromettere il futuro di un comparto produttivo senza che esistano risorse e strumenti per soluzioni alternative praticabili, sempre che queste siano in qualche modo giustificate da impatti insostenibili.
Decliniamo quindi la proposta pubblica generosamente avanzata dal Professor Danovaro per effettuare uno studio sui fondali a spese degli Istituti da lui presieduti (dubitiamo peraltro che ci siano draghe idrauliche disposte ad imbarcare ricercatori che li vogliono dichiaratamente rovinare) sia perché è sbagliato l’approccio che vorrebbe i fondali intoccati, sia perché esistono già politiche idonee a garantire la sostenibilità della pesca.
Per quanto riguarda il primo punto, giova ricordare che l’uso responsabile delle risorse rinnovabili ha un’azione di regolazione e controllo degli ecosistemi e delle loro dinamiche, cosa della quale, per restare in Adriatico, lo zoologo Umberto D’Ancona ed il matematico Vito Volterra erano ben consapevoli già negli anni ’20 del secolo scorso. Per quanto riguarda il secondo punto, la sostenibilità è un elemento centrale della Politica Comune della Pesca, che costituisce il quadro di riferimento per la regolazione di questa importantissima attività, così come lo è la Direttiva Quadro per la Pianificazione dello Spazio Marittimo, che nel 2021 porterà alla definizione dei piani di gestione che regoleranno l’insieme delle attività antropiche che incidono sul mare. Dunque, evitiamo contrapposizioni e guerre di religione, che come sempre rischiano di apparire strumentali, e lasciamo che la compatibilità della pesca con lo sviluppo sostenibile e con la “crescita blu” trovi la sua attuazione nei tavoli che istituzionalmente sono preposti a questo fine.
Giampaolo Buonfiglio, Presidente del Coordinamento del settore pesca Alleanza delle Cooperative Italiane