La sfida per una maggiore tracciabilità dei prodotti ittici e trasparenza per i consumatori mette d’accordo proprio tutti. Sia il mondo dell’industria che quello politico hanno accolto positivamente i suggerimenti contenuti in un nuovo studio sulla pesca non riportata e non regolata redatto da una coalizione di ONG contro la pesca illegale e presentato ieri, 8 gennaio, a Bruxelles.
Il tema si inserisce nell’ambito della riforma del regolamento 1224/2009 che istituisce un regime di controllo per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca (PCP). Proprio il relatore per il Parlamento europeo, la socialista spagnola Clara Aguilera, ha ospitato l’evento, sottolineando come questo sia uno dei regolamenti più importanti da adattare alla nuova PCP. Ha ugualmente rimarcato l’importanza dei dati affinché i consumatori possano avere nei prodotti che acquistano.
Intervenuta in rappresentanza della Commissione, Francesca Arena della DG Mare ha insistito sulla digitalizzazione per migliorare l’accesso ai dati. “È tempo di contare meno sulle carte e digitalizzare il sistema,” ha detto. Per Arena, la proposta della Commissione estende lo scopo delle regole sulla tracciabilità su prodotti ittici preparati e conservati, inclusi crostacei e molluschi, e prodotto importato.
Anche l’organizzazione industriale Europêche spinge per maggiore tracciabilità e trasparenza, utile anche per incontrare la domanda di pescato sostenibile. “Con una maggiore tracciabilità, abbiamo anche migliori dati e un maggiore controllo in generale,” ha detto Helena Orella del gruppo Bolton, proprietario tra gli altri del marchio RioMare e Palmera.
Nello studio presentato durante l’evento, la coalizione composta dalle ONG Environmental Justice Foundation (EJF), Oceana, The Nature Conservancy (TNC), The Pew Charitable Trusts e WWF ha comparato i sistemi di controllo delle importazioni e di documentazione delle catture per negare l’accesso al mercato a prodotti di origine illegale attualmente vigenti in Europa, Stati Uniti e Giappone.
Sono state poi individuate 17 informazioni sui dati chiave (i così detti key data elements o KDE) necessarie a rintracciare con successo un prodotto ittico in tutte le fasi rilevanti della sua catena di approvvigionamento. Per le ONG questi KDE includono, ma non sono limitati alla bandiera della nave, alla zona di cattura, al numero dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), alle autorizzazioni di pesca, alle dichiarazioni di trasbordo, ai porti di scarico e ai metodi di cattura.
L’Ue attualmente rispetta 13 dei 17 KDE suggeriti dalle ONG, gli Stati Uniti 12, mentre il Giappone non ha ancora istituito un sistema di controllo delle importazioni a livello nazionale, ma sta iniziando a svilupparne alcuni. Gli schemi oggi esistenti differiscono per il modo in cui operano e per le informazioni che richiedono, con il risultato di creare scappatoie che gli operatori della pesca illegale possono sfruttare, creando inoltre ulteriori oneri burocratici per l’industria.
Lo studio completo può essere letto qui.