Come riportano gli studi statistici dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) raccolti nel report annuale “Lo Stato Mondiale della Pesca e dell’Acquacoltura”, a fronte di un aumento del consumo di pesce pro-capite (in alcune nazioni ha raggiunto i 20 chilogrammi l’anno), la pesca rimane stabile, mostrando tuttavia una preoccupante graduale diminuzione dei quantitativi catturati in alcuni settori specie-specifici. Fenomeni chimico-fisici in rapido aumento come la progressiva acidità dei mari, l’inquinamento diffuso da plastica e il riscaldamento delle acque stanno incidendo sulla composizione quali-quantitativa degli stock ittici. Inoltre, dal 2007 si osserva un costante ed eccessivo prelievo di esemplari ittici a danno delle popolazioni pescate (30%), fenomeno che non mostra inversione. Si sta così ridisegnando il quadro generale della disponibilità in natura di cibo fornito dal mare.
Da almeno cinquant’anni fortunatamente l’acquacoltura ha dimostrato che è possibile iniziare a fare la differenza ed è perfino considerata uno dei principali tasselli per il raggiungimento del traguardo dei 20 chilogrammi di pesce a persona.
Nella classifica delle specie animali acquatiche maggiormente allevate, il salmone e la trota hanno rubato il podio ai gamberi negli ultimi anni, mostrando un trend in continua crescita a livello mondiale sia come quantitativi allevati che come creazione di posti di lavoro.
Nella mia professione di biologo acquatico e consulente, mi sono sempre impegnato a diffondere la conoscenza relativa all’importanza economica, sociale ed ambientale dell’acquacoltura che si è dimostrata, negli ultimi decenni, una soluzione per riequilibrare il deficit ittico illustrato sopra; concetto questo già riportato nei miei precedenti articoli.
Durante la mia carriera ho potuto incontrare e lavorare con molte persone consapevoli della necessità e delle potenzialità di diventare allevatori di specie acquatiche, sia per motivi di lavoro, occupazione e guadagno, sia per alleviare l’eccessiva pesca, sia per il ripopolamento e salvataggio di specie in pericolo di rarefazione, se non di estinzione.
In tutti i casi, ciò che ho trovato sono state grandi speranze, una spinta a cambiare, per promuovere un nuovo stile di vita e di lavoro ma soprattutto il desiderio di riprendere in mano il proprio destino, non solo lavorativo.
Purtroppo ho dovuto però anche constatare la grande difficoltà da parte di molti nel riuscire a concretizzare le loro idee, la loro passione in un progetto chiaro e preciso, con costi di investimento certi e contorni definiti. Non a caso, la prima domanda più gettonata rivoltami è sempre stata: “Esistono fondi o finanziamenti per poter sviluppare la mia idea?”, domanda frequente soprattutto quando il progetto in questione riguarda l’allevamento di specie (es. aragoste, ricci di mare) considerate ancora sperimentali, prive quindi di una metodica di riproduzione e crescita consolidata e ben collaudata.
Spesso la passione e il cuore non bastano, se non sono accompagnati da una pianificazione e conoscenza degli strumenti tecnici, metodologici ed economici necessari a far si che il progetto nasca sotto i migliori auspici, riducendo al minimo ostacoli ed imprevisti. Il primo passo falso è, ad esempio, non effettuare un business plan, ovvero un’analisi sia dei costi di investimento e di gestione, sia dei ritorni economici netti. Oggi non è più sufficiente sapere che allevare la mazzancolla o l’orata è sicuramente redditizio perchè “al ristorante mangiarle costa molto”, è obbligatorio, come in tutte le imprese imprenditoriali, studiare le componenti tecnico-produttive ed economiche che costituiscono il quadro completo del ciclo di produzione.
Per questo motivo, un progetto di allevamento ittico assume un perimetro economico ben definito soltanto quando si individuano le linee operative, quantificando i costi di gestione, comprensivi anche di eventuali spese extra budget nel caso in cui sia necessario rispondere ad eventi imprevisti in modo fattibile e veloce.
In tutto il mondo dell’acquacoltura, per realizzare ed avviare un impianto di allevamento in grado di far guadagnare veramente il suo proprietario è necessario un processo di studio e preparazione di un progetto, sempre caratterizzato dai seguenti 5 passaggi obbligatori:
– Valutare in maniera onesta ed oggettiva le risorse che si hanno a disposizione (immobili, risorse idriche, tempo a disposizione per l’attività, costi di avvio dell’impianto..)
– Informarsi sui sistemi acquatici di allevamento e produzione (vasche all’aperto, gabbie galleggianti, sistemi a ricircolo idrico artificiali o supportati da tecnologie innovative idroponiche..). Dopo aver preso in esame pro e contro di ogni metodica, è ovvio che il vostro obiettivo è quello di far incontrare il sistema produttivo più adatto alle risorse già in vostro possesso, in modo da ridurre i costi di realizzazione dell’impianto, massimizzando ciò che avete a disposizione.
– Selezionare le specie acquatiche richieste dal mercato al quale volete rivolgervi, sia esso ornamentale o alimentare. Diversamente da quest’ultimo, inserito in un contesto di rigide normative, il mercato ornamentale permette di rifornire laghetti privati, negozi di acquari e di introdursi nel settore del flovovivaismo con la fornitura di piante acquatiche coltivate. Altri sbocchi commerciali per la vendita degli animali allevati, riguardano il settore della pesca sportiva (carpe, pescigatto, lucci, tinche, persici) e il ripopolamento di specie in rarefazione, grazie alla realizzazione e gestione di centri di riproduzione controllata; ne è un esempio il gambero nostrano di acqua dolce, che rappresenta una buona opportunità di guadagno.
– Preparare un business plan. L’acquacoltura è un’attività agricola riconosciuta e come tale, trattandosi di allevamento animale, è soggetta anche ad un certo grado di rischio. A seconda del progetto, può essere impegnativa economicamente nella fase di avvio e poco adatta a fornire un adeguato guadagno, ad esempio quando si utilizzano pochi metri quadrati di terreno o quando si sfruttano luoghi poco adatti dal punto di vista climatico. Tuttavia, ci sono stati molti casi di attività partite su scala ridotta, come dimensioni, che poi si sono ingrandite nel tempo raggiungendo importanti e soddisfacenti guadagni. Ciò è sempre avvenuto grazie ad un’attenta analisi e valutazione dei costi/ricavi prima della costruzione dell’impianto produttivo.
– Entrare in contatto con la comunità dell’acquacoltura. L’unione fa la forza: iniziare, farsi conoscere, incontrare altri operatori ed esperti nel settore dell’allevamento acquatico consente di partecipare allo scambio di esperienze e conoscenze di chi vive e respira la materia ed è quindi in grado di aiutarvi, evitando così errori ed imprudenze che potrebbero costarvi rallentamenti e spese impreviste. Inoltre partecipare e rimanere in contatto con gli altri consente di arricchire il vostro bagaglio di conoscenze, il tutto per migliorare anche la vostra capacità e il vostro controllo dell’impresa.
Nel nostro Paese, l’acquacoltura ha sempre rappresentato una grande opportunità che va sfruttata. Ricordo sempre ai miei clienti che la FAO, già più di vent’anni fa, aveva prodotto uno studio sulla nostra penisola che tracciava una linea immaginaria al centro-Italia (dal Tirreno all’Adriatico), a sud della quale tutto il territorio risultava più adatto per la coltivazione di pesci e crostacei, favorito dal clima. Oggi, questa indicazione è quanto mai valida ed offre una importante ed attraente opportunità professionalizzante, un lavoro soprattutto per quei giovani che possono sfruttare a loro vantaggio le tecnologie sostenibili per ridurre i costi di avviamento dell’impianto produttivo ed essere assistiti al meglio nella loro gestione.
I mercati, riforniti oramai principalmente dall’estero, attendono i nuovi fornitori di prodotti made in Italy, più sicuri e controllati. Se sei giovane e credi nel tuo futuro e nella tua capacità di poterlo plasmare, considera di diventare uno degli acquacultori di questo nuovo millennio!