Sono passati più di trent’anni dal mio primo acquario “serio”, che ricordo acquistai usato per inseguire il sogno di poter avere un pezzetto di Mar Tirreno in casa durante l’inverno. Lo spessore dei suoi vetri era maggiore rispetto a quelli attuali ed era stato fatto artigianalmente e rivestito con fogli di sughero.
Ero allora uno studente appassionato della fauna marina e di immersioni, sempre alla ricerca di nuovi ospiti per il mio acquario che stava su un solido tavolino di acciaio e vetro. Un piccolo affascinante mondo vivente chiuso in quei 300 litri di acqua salata originariamente recuperata in un mare distante 80 chilometri da casa e trasportata in pesanti taniche in auto.
Creature affascinanti e guizzanti come le donzelle pavonine oppure argentei siluri come i giovani cefali coabitavano con granchi, patelle e alghe multicolori. La loro cattura era portata avanti rigorosamente in apnea con un lungo retino, impegnando pazientemente qualche ora di felicità con il sapore di sale in bocca e il riflesso lucente del sole sull’acqua del mare.
In quei tempi tutti coloro che come me avevano deciso di intraprendere quest’impresa finalizzata allo studio e alla comprensione della biologia acquatica e in particolare della zoologia, erano appassionati di subacquea, microscopia, acquariologia e sognavano la mitica nave Calypso del comandante Jacques-Yves Cousteau e del suo equipaggio fidato di esploratori acquanauti.
Studiavamo all’università sui libri, guardavamo documentari e dall’immedesimazione con le storie dei protagonisti traevamo lo spunto per avvventurarci noi stessi in esplorazioni non solo in mare ma anche nei laghi, nei fiumi e ovunque sapevamo esistesse vita acquatica.
Bramavamo di vedere con i nostri occhi e di toccare con le nostre mani ciò che leggevamo. Non vedevamo l’ora di mettere alla prova le nostre capacità intuitive e deduttive per portare avanti nuove ricerche nella speranza di fare qualche scoperta sorprendente nel mondo acquatico. Ancora oggi mi capita di sognare di scoprire una nuova specie variopinta di pesce che nessuno ha mai visto, dopo avere esplorato luoghi vergini, colorati e fantastici come solo nei sogni possono essere.
In quell’ottica era naturale ad esempio andare anche a Trieste per passare una settimana in compagnia dei ricercatori della locale stazione di biologia marina per seguire un corso pratico sulle fioriture algali ed il loro impatto sull’ambiente e sulle attività umane, utilizzando non soltanto materiale informativo fotografico ma raccogliendo in mare veri campioni da esaminare.
I tempi cambiano (“The Times They Are a-Changin’”) come cantava il buon vecchio Bob Dylan ed il mondo continua a girare per fortuna. Oggi le incredibili possibilità offerte da internet e dalle nuove tecnologie di comunicazione ci permettono di abbattere gli ostacoli di spazio e tempo avendo nelle nostre mani una conoscenza pressoché illimitata.
Tuttavia noto la perdita dell’interesse ai toccare, vedere ed assaggiare ciò che viene insegnato all’Università o studiato sui libri e scovato sul Web.
La mia esperienza personale, insieme ai resoconti dei miei coetanei, mi ha mostrato l’assenza di una coerente spinta motivazionale dei nuovi laureati a “farsi le ossa” e a “bagnarsi le mani” sul campo, che invece risulta essenziale per chi intraprende una carriera in Scienze Biologiche. Nella fattispecie quasi nessuno dei dottorandi venuti a seguire un tirocinio con me, conosceva le regole basilari igieniche che partono dal lavaggio dell’argilla espansa prima della sua introduzione nel letto di crescita. La maggioranza di loro non si aspettava che questo umile lavoro sarebbe stato incluso fra le loro mansioni di laureati, abituati ad esercitare in un ambiente sterile e controllato come può essere un laboratorio universitario. Nella realtà fuori le mura universitarie, però, la commistione fra ricercatore e manovale è d’obbligo.
I miei settori di attività, l’Acquacoltura e l’Acquaponica, richiedono la comprensione e la risoluzione di problematiche di natura tecnica che inevitabilmente emergono quando si affronta l’allevamento di pesci o gamberi ed il rapporto sinergico che questi instaurano con le piante.
Oggi e nel prossimo futuro il lavoro principale di cui saranno incaricate le nuove leve riguarda la progettazione di sistemi produttivi che siano in grado di superare i limiti imposti dal cambiamento climatico globale, sfruttando anche le alternative energetiche a basso impatto ambientale che stanno rivoluzionando il panorama mondiale.
Per questa ragione, vorrei consigliare a chi mi legge e che sta studiando l’affascinante settore dell’allevamento ittico, di dedicare qualche domenica alla costruzione di un acquario o all’osservazione dei microscopici ecosistemi nascosti in una goccia di acqua prelevata ad esempio dalla fontana di un parco pubblico.
Nella mia carriera professionale la manualità artigianale e la conoscenza degli attrezzi è sempre risultata una capacità indispensabile; che unita alla creatività di un pensiero trasversale mi ha permesso, ad esempio, di modificare una vasca da bagno in un impianto di riproduzione del gambero d’acqua dolce.
Queste sono le qualità inestimabili che hanno guidato i pionieri della ricerca verso le loro scoperte e invenzioni più famose e “futuristiche”.
Nel mio piccolo, ad esempio: il primo sistema acquaponico nel nostro Paese lo ho progettato e costruito insieme ai miei collaboratori usando mattoni di calcestruzzo, legno e piscine in pvc. Non esistendo in Italia ancora fornitori di attrezzature specifiche per il settore, ci siamo dovuti arrangiare traendo il massimo dalle nostre conoscenze pratiche per realizzare i primi letti di crescita e un impianto di quarantena per gli animali da allevare.
Abbiamo dovuto far ricorso persino ad un escavatore per concretizzare il nostro sogno di due laghetti acquaponici. Il tutto costruito in economia utilizzando anche materiali riciclati all’interno di una serra in disuso, riqualificata a questo nuova funzione.
Abbiamo quindi dovuto ricorrere non solo alle mie competenze scientifiche ma anche a quelle organizzative e tecnico-pratiche di tutti i partecipanti per superare l’ostacolo rappresentato dell’assenza di strutture, esperienze e fornitori specializzati nel nostro Paese. Solo così siamo riusciti ad aprire la strada anche in Italia a questa innovazione che troviamo ormai in tutto il mondo, tanto che lo scorso anno sono stato chiamato a rappresentare l’Acquaponica come speaker ufficiale della FAO negli Emirati Arabi Uniti in occasione di un congresso internazionale organzzato dalla World Aquaculture Society. Direi a questo punto: niente male per uno che aveva iniziato a sognare allestendo da solo un acquario marino mediterraneo…
Personalmente apprezzo la collaborazione con menti giovani e fresche e ogni mio intervento e articolo si pone l’obiettivo di spronare questi cervelli in crescita a tuffarsi anima e corpo in questo mare di opportunità. Non bisogna limitarsi ad uno studio teorico asettico, lontano da un’esperienza empirica che implichi l’immergere le mani nelle conoscenze acquisite, mettendole alla prova. Un vero esperto, in questo ambito lavorativo in particolare, non è solo specialista del suo specifico campo ma deve sapersi reinventare anche come tuttofare facendo ricorso alle proprie competenze manuali nell’esecuzione di compiti tecnici.
Il mio impegno quotidiano è rivolto alle generazioni successive in modo da passare loro il testimone così come il comandante Cousteau lo passò alla mia.
Ciò è in linea con la necessità che essi siano prepararati non solo a livello teorico ma che siano in grado di sopperire ad impedimenti di natura tecnica che richiedono soluzioni pratiche, creative e di innovazione rispetto al passato.
Dr. Davide Di Crescenzo
AquaGuide