In questi primissimi giorni della Fase 3, si può fare un primo bilancio di quanto e in che modo l’emergenza Covid-19 e le chiusure hanno influito su tutti i settori produttivi e quindi anche su quello della pesca?
Anche nel settore della pesca l’impatto del COVID 19 ha avuto importanti ricadute economiche e occupazionali. L’attività di pesca si è ridotta notevolmente almeno nella prima fase con riduzione d’attività anche del 70%.
Oggi la condizione va verso un miglioramento e, anche se a macchia d’olio, si nota una decisa ripresa, che si lega alla riapertura di ristoranti e alberghi e speriamo ad una ripresa del turismo. La chiusura di esercizi commerciali, per effetto del lockdown, ha determinato il crollo dell’intero settore.
Pucillo, la pesca però presenta criticità che sono antecedenti all’emergenza sanitaria!
Il settore viveva già una profonda crisi e il Covid-19 ha contribuito a complicare ulteriormente la situazione.
Ma le misure messe in atto dal Governo e dall’Europa possono dare un concreto e immediato sostegno al settore?
Gli aiuti che si stanno mettendo in campo sia di natura nazionale che europea, sono importanti per la ripresa. Serve un sostegno economico forte sia per i lavoratori che per le imprese. I decreti “Cura Italia” e “Rilancio” vanno verso questa direzione, insieme alle modifiche del FEAMP a sostegno delle imprese di pesca, d’acquacoltura e per le aziende che si occupano di stoccaggio e conservazione dei prodotti.
Il problema sta nel fatto che gli aiuti nazionali tardano ad arrivare e per quelli di natura europea la condizione non è migliore; lo stesso vale per la Cigs in deroga per i lavoratori, anche questa in forte ritardo.
Come si può intervenire per accelerare i tempi e aiutare i lavoratori, rilanciando l’intero settore?
È necessario aprire un confronto su questi aiuti. Crediamo siano un’opportunità da cogliere per rilanciare il settore, ma ragionando su come e dove canalizzare le risorse per riuscire a raccogliere il massimo del risultato possibile.
Quindi non interventi “a pioggia”?
Certo c’è bisogno di un aiuto diretto alle imprese ma andrebbe individuato anche il come e a chi: dovremmo capire se tutti sono stati danneggiati allo stesso modo; valutare le differenze tra piccola pesca e pesca industriale, queste realtà così differenti hanno potuto pescare un numero di giorni sufficienti e in egual misura? La commercializzazione del prodotto ha avuto gli stessi problemi in tutto il paese? C’è stato lo stesso calo di vendite in tutto il territorio nazionale? Certamente vanno aiutati tutti ma va fatta anche una riflessione e una valutazione reale del danno subito dal singolo.
Cosa intendete con canalizzare le risorse?
Quando diciamo di canalizzare le risorse intendiamo progettare un percorso che dia a queste risorse un obbiettivo utile al rilancio della pesca italiana. In questi anni abbiamo visto decine e decine di progetti che avevano lo scopo di rilanciare il settore: dalla pulizia del mare con la raccolta delle plastiche, a progetti per attrezzi più selettivi per tutelare la risorsa, alla diversificazione dell’attività (pesca turismo, ittiturismo, trasformazione dei prodotti), alla commercializzazione, alla vendita di prodotti online, al km 0, solo per citarne alcuni, che possono tornare anche utili in questa fase. Visto che abbiamo delle risorse perché non tentare di dare gambe a tutta la progettualità fin qui sviluppata?
Ecco pesca e turismo…
Con la pesca si può anche rilanciare il turismo, così come la pesca è anche cultura. Ci sono sistemi di pesca unici nel nostro paese che possono diventare un volano turistico importante e invece rischiano di scomparire. Ad esempio, la caccia del pesce spada con la Feluca: un sistema di pesca unico nel suo genere come unica è il tipo d’imbarcazione, è una pesca che si fa solo in Italia e solo nello stretto di Messina di cui si hanno notizie già nel II° secolo avanti Cristo. Ecco, questo è un esempio di un’eccellenza che sta scomparendo per effetto della crisi e dei costi eccessivi, eppure potrebbe diventare un volano importante per il turismo di quelle zone.
La pesca, con tutto il suo fascino, è comunque un tipo di lavoro molto duro e soggetto a tanti pericoli, ricordiamo solo la scorsa settimana l’incidente in cui ha perso la vita un pescatore. Cosa fare?
Una parte delle risorse disponibili va necessariamente usata per le questioni legate alla sicurezza sulle imbarcazioni. Questo rimane un settore ad alto rischio per i pescatori. Nelle ultime settimane, in due naufragi diversi uno in Sicilia e uno nel Lazio, sono morti quattro pescatori. Intervenire su salute e sicurezza è una condizione non più rinviabile. Quindi serve applicare quanto prima il dlg 81/08 anche alla pesca, lo aspettiamo ormai da troppi anni, come serve quanto prima un ammortizzatore sociale strutturato che intervenga quando le condizioni meteomarine avverse mettano a rischi l’incolumità dei pescatori.
Non è comprensibile rischiare la vita per sopravvivere, per fare il proprio lavoro.
Le risorse vanno canalizzate su obbiettivi concreti e per ottenere questo, come Flai Cgil, siamo pronti a qualsiasi confronto anche per evitare un ulteriore crollo di occupati in un settore che nel tempo a già visto troppe chiusure d’azienda per effetto del disarmo e che non riesce più ad essere attrattivo per i giovani.