Gli sgombri vivono in mari molto diversi, dalle coste del Mediterraneo fino alle isole Fær Øer, a nord della Scozia. Negli ultimi vent’anni hanno espanso il proprio areale verso nord, arrivando fino alle acque della Groenlandia, delle isole Svalbard e dell’Islanda. Le nuove abitudini degli sgombri stanno creando delle dispute internazionali, e potrebbero crearne sempre di più, perché ora anche l’Islanda vuole la sua parte nel sistema di quote di pescato stabilite tra i paesi del Nord Europa. Ora che la distribuzione di alcune specie di pesci nell’oceano sta cambiando, è diventato più difficile trovare soluzioni che vadano bene a tutti.
Per quanto riguarda gli sgombri c’è stata una grande abbondanza negli ultimi anni, ma le cose potrebbero cambiare in futuro se i paesi che li pescano non si metteranno d’accordo. L’Unione Europea, la Norvegia e le isole Fær Øer raggiunsero un accordo per arrivare a 800mila tonnellate, ma non stabilirono un limite condiviso con Islanda, Russia e Groenlandia. Alla fine furono pescati quasi 1 milione di tonnellate di sgombri, circa il doppio di quanto suggerito dagli scienziati dell’ICES per salvaguardare la specie.
In Islanda invece gli sgombri non si mangiavano perché semplicemente non c’erano. Le cose cambiarono quando cominciarono a comparire sempre più spesso nelle reti da pesca a strascico usate per le aringhe. Nel 2006 Páll Guðmundsson, direttore della società di pesca Huginn EHF, chiese al ministero della Pesca islandese e all’Istituto di ricerca sul mare e sulle acque dolci, un ente governativo scientifico che si occupa delle risorse idriche islandesi, di verificare che la quantità di sgombri nell’oceano intorno all’isola fosse sufficiente da giustificarne la pesca. L’anno successivo ottenne di poter finanziare lui stesso le ricerche sugli sgombri, e in totale i pescatori islandesi pescarono 32mila tonnellate di sgombri, contro le 4.200 del 2006.
Non si può dire se le nuove abitudini degli sgombri dipendano dal riscaldamento globale ma sembra sempre più importante che le future regole del commercio ittico saranno dettate anche da tali dinamiche e da nuove visioni legate alla “geopolitica della pesca“.