L’acquacoltura marina off-shore rappresenta una valida opportunità per aumentare la produzione di pesce, a fronte della crescente domanda di proteine marine e il limitato spazio per l’espansione delle catture selvatiche. Tuttavia non è ancora ben noto l’alto potenziale di una maggiore produzione di acquacoltura dall’oceano. Questo è quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’Università della California – Santa Barbara e pubblicato su Nature Ecology and Evolution.
Lo studio si è occupato del potenziale produttivo biologico dell’acquacoltura marina in tutto il mondo utilizzando un approccio innovativo che si basa sulla teoria della fisiologia, dell’allometria e della crescita. Anche dopo aver applicato vincoli sostanziali basati su usi oceanici e limitazioni esistenti, sono stati individuati ampi spazi, in quasi tutti i paesi costieri, idonei per l’acquacoltura.
Il potenziale di sviluppo supera di gran lunga lo spazio necessario per soddisfare la domanda prevedibile di prodotti ittici. Infatti, gli sbarchi totali attuali di tutte le attività di pesca di cattura selvatica potrebbero essere prodotte usando meno dello 0,015% della superficie globale dell’oceano.
Poiché la popolazione umana sembra destinata a raggiungere i 10 miliardi di persone entro il 2050, gli attuali sistemi alimentari si troveranno ad essere sotto intensa pressione per produrre proteine animali. Di fronte ad uno scenario fatto da una domanda in esubero e un’offerta sempre più limitata, l’acquacoltura off-shore risulta essere la risposta adeguata a soddisfare la crescente necessità di proteine.
La maggior parte degli impianti d’acquacoltura esistenti sono allocati su terreni, in acque dolci e nelle acque marine costiere. Tuttavia, i problemi quali l’uso di risorse elevate, l’inquinamento e la distruzione degli habitat, hanno creato una reputazione generalmente negativa per l’acquacoltura e hanno posto le sfide per una continua espansione.
L’acquacoltura in acque aperte (off-shore) sembra avere diversi vantaggi rispetto ai metodi di coltura più tradizionali, inclusi la diminuzione di conflitti spaziali e una maggiore capacità di assimilazione dei nutrienti, evidenziando le opportunità per uno sviluppo marino sostenibile.
Nonostante la percezione che l’acquacoltura marina abbia un alto potenziale di crescita, poco si sa circa l’estensione, la posizione e la produttività delle potenziali aree di crescita in tutto il mondo. La maggior parte delle ricerche sul potenziale dell’acquacoltura marina si è concentrata su specifiche specie/regioni e rimane l’importante necessità di valutare il potenziale crescente di crescita nei vari luoghi.
La stima ottenuta dallo studio è frutto di una simulazione basata su una mappatura dell’oceano tenendo conto di parametri geografici, fisici e biologici. Il gruppo di ricerca guidato da Rebecca Gentry ha definito una griglia suddividendo l’area di ciascun oceano in settori di 0,042° di ampiezza in latitudine. Ciascuna di queste microaree è stata poi caratterizzata in base ai dati noti della zona per quanto riguarda la temperatura media, la profondità, l’equilibrio ecologico, e il potenziale di produttività delle specie adatte all’acquacoltura, un gruppo di 180 specie in particolare, tra bivalvi, ostriche e molluschi.
Sottraendo da una prima stima tutte le zone soggette a vincoli ambientali e pressate dalla presenza umana (pesante traffico marittimo, inquinamento, scarsità d’ossigeno). Lo studio degli scienziati di Santa Barbara fornisce un importante primo prospetto dei passi da seguire.
Purtroppo, ci sono diversi ostacoli da superare, non sono solo di tipo infrastrutturale. I Paesi individuati a maggiore potenziale, infatti, non sono ancora pronti e risentono di bassi livelli di sviluppo economico e problemi politici e di sicurezza. Le coste meridionali del Kenya, per esempio, sono nella top ten dei Paesi bagnati dall’oceano, ma gli attacchi terroristici e la continua instabilità del governo rendono improbabile un investimento nell’acquacoltura nel prossimo futuro.