La produzione alimentare è responsabile di un quarto delle emissioni antropogeniche di gas serra (GHG) a livello globale. Le attività di pesca marina sono tipicamente escluse dalle valutazioni globali dei gas a effetto serra o sono generalizzate sulla base di un numero limitato di studi di casi.
Un nuovo studio pubblicato su Nature Climate Change quantifica gli input di carburante e le emissioni di gas serra per la flotta da pesca globale dal 1990-2011 e confronta le emissioni della pesca con quelle provenienti dall’agricoltura e dalla produzione di bestiame.
Si stima che nel 2011 la pesca abbia consumato 40 miliardi di litri di carburante e generato un totale di 179 milioni di tonnellate di gas serra equivalente a CO2 (4% della produzione alimentare globale). Le emissioni dell’industria ittica mondiale sono cresciute del 28% tra il 1990 e il 2011, con un lieve aumento della produzione coincidente (le emissioni medie per tonnellata sbarcata sono aumentate del 21%).
La crescita delle emissioni è stata determinata principalmente dall‘aumento dei raccolti dalla pesca a base di crostacei. Benché i crostacei selvatici costituiscano circa il 6% del totale del pescato, sono responsabili del 22% di tutte le emissioni di CO2 derivanti dalla pesca. Il traino di reti a bassa velocità (pesca a strascico), tecnica utilizzata per la cattura dei crostacei, richiede tra l’altro anche grandi quantità di diesel. La crescente domanda di questi crostacei, aumentata dal 1990 al 2011 a + 60%, ha determinato una quantità di emissioni tale da vanificare i guadagni ambientali dovuti, per esempio, alla maggiore efficienza dei pescherecci. E questo senza contare le ricadute di una pesca sempre meno varia in termini di biodiversità e l’impoverimento degli ecosistemi.