Si allungano in maniera preoccupante i tempi legati alle trattative per il rilascio dei 18 pescatori tenuti sotto sequestro in Libia ormai da quasi un mese. Vicende antiche che si arricchiscono di scenari nuovi e alquanto complessi.
Siamo abituati a fermi forzati perpetrati ai danni di pescherecci italiani accusati, quasi sempre ingiustamente, di sconfinamenti in acque non di pertinenza e pratiche di pesca illegali. Stavolta si parla di traffico di droga ad opera degli equipaggi dei due pescherecci siciliani e di negoziati per la loro liberazione che implicherebbero l’estradizione di quattro scafisti libici condannati per la cosiddetta “strage di Ferragosto” del 2015.
Tutto si complica: da una parte non si hanno notizie certe dei 18 pescatori; dall’altra diventano più difficili le trattative per il governo italiano che deve fare i conti non solo con la delicata richiesta libica, ma anche con un interlocutore che si identifica in un capo militare diverso dall”ufficiale governo libico’ riconosciuto dall’ONU.
Uno scenario complesso che va dunque oltre i soliti, difficili negoziati che l’Italia deve portare avanti con paesi caratterizzati da non definiti sistemi governativi. Si ripropone l’irrisolto problema dei sequestri subiti quasi mai a ragione dai pescherecci italiani con l’innesto stavolta di una posta in gioco che rimanda a questioni estremamente delicate e di respiro europeo.
“La liberazione dei marittimi italiani è sottesa, in base alle richieste delle autorità libiche, all’ estradizione di quattro trafficanti condannati a Catania per aver causato la morte di 49 migranti clandestini nell’estate del 2015. È questo l’elemento che complica enormemente la già delicata questione del sequestro e che impone, a parere dell’ Associazione che rappresento, una maggiore attenzione, anzi un intervento incisivo, da parte dell’ Europa. Date le richieste libiche infatti, non si tratta più di un affare solo italiano ma europeo: il traffico di migranti, insieme all’illegale sistema che lo gestisce e che entra a pieno titolo in questa vicenda, impone un’attenzione al caso in questione che implica azioni diplomatiche congiunte. Riteniamo quindi che l’Europa non possa rimanere a guardare senza intervenire in questo fatto di cronaca che, dati gli sviluppi, non può essere considerato come una semplice vicenda di pesca, ma va analizzata e risolta inquadrandola nel più vasto contesto dell’immigrazione clandestina. C’è bisogno di una maggiore attenzione da parte dell’Europa: un buon punto di partenza sarebbe quello di rivedere, ad esempio, il Trattato di Dublino. L’Italia è, nella stragrande maggioranza dei casi, paese di arrivo dei cosiddetti viaggi della speranza e in virtù di questo è obbligata non solo a gestire le dinamiche dei richiedenti asilo ma anche a procedere legalmente contro coloro che gestiscono in maniera illecita questi traffici. Questa circostanza rende l’Italia vulnerabile e più esposta a certi rischi rispetto ad altri paesi dell’ Unione. La vicenda dei 18 marittimi ancora prigionieri e la conseguente trattativa intavolata dai libici per la loro liberazione, ne è esempio lampante. Come Associazione chiediamo una tutela per le marinerie italiane, soprattutto quelle siciliane, che in questo caso parte da lontano. Se l’ Italia fosse alleggerita di certe responsabilità, probabilmente i nostri pescherecci, soprattutto quelli che operano in determinate acque, non sarebbero presi di mira da certi sistemi e quindi non considerati addirittura merce di scambio. Ora non possiamo che sperare in un immediato ritorno a casa dei nostri pescatori , ma chiediamo che l’Europa, anche nell’ottica di tutelare il settore che rappresento, riveda le proprie posizione nel campo dell’immigrazione e in materia di diritto di asilo così da scongiurare, per il futuro, altre incresciose vicende”.
Così Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale UNCI Agroalimentare.