Come è noto una delle piaghe che affliggono il mare è l’inquinamento antropico e uno degli elementi che maggiormente concorre a determinarne il deterioramento sono le plastiche, soprattutto sotto forma di minuscoli residui prodotti dai processi di degradazione e che inevitabilmente finiscono nell’entrare nella catena alimentare sotto forma di fibre e particelle che si mescolano al plancton.
Si sta evidenziando anche nel Mediterraneo attraverso le floating garbage (isole galleggianti di rifiuti plastici) e le floating washing garbage (causate da microfibre immesse in mare attraverso le acque provenienti dal lavaggio domestico) il marine litter. Queste “isole galleggianti” sono formate dai vortici delle correnti marine.
Le “microplastiche”, infatti,sono piccole particelle di plastica di dimensioni compresetra i 300 micron e i 5 millimetri e la loro pericolosità per la salute dell’uomo e dell’ambiente è dimostrata da diversi studi scientifici ma i danni più gravi si registrano soprattutto negli habitat marini ed acquatici. Ci sono però anche particelle di dimensioni infinitamente più piccole, le “nano plastiche”, di cui sappiamo ancora poco e che potrebbero essere ancora più pericolose. Ma anche nel Mediterraneonon c’è di che gioire.
Quante micro e nano plastiche ci sono in mare? E quali effetti hanno sulla catena alimentare? Da dove provengono e quali sono le soluzioni applicabili?
Attualmente da alcuni risultati scientifici è emerso che il Mare Nostrum è uno dei mari più inquinati al mondo, dove si concentra il 7 per cento delle microplastiche a livello globale. Una volta in mare queste sostanze vengono ingerite dalla fauna (in particolare da plancton, invertebrati, pesci, gabbiani, cetacei e rettili) arrivando addirittura a modificare la catena alimentare.
Naturalmente i pesci essendo oggetto dell’attività di pesca, rischiano di finire sulle nostre tavole e, secondo i dati della ricerca scientifica (ISPRA) per almeno il 15 – 20% contengono microplastiche e il rischio è dunque anche per gli esseri umani.
Gli inquinanti rilasciati dalle microplastiche possono essere ingerite e finire nel nostro organismo?
Ma allora, quali sono gli effetti sull’uomo quando mangia pesce? Da diverse parti del mondo scientifico si afferma che al momento gli studi non confermano l’assorbimento di microplastiche da parte dei tessuti umani. Le microplastiche sono contenute in oggetti di uso comune come nei cosmetici, i dentifrici, shampoo, trucchi e creme solari etc, entrano in contatto con l’uomo già prima di finire in acqua.
Sfatare i luoghi comuni per non creare allarmismi inutili ma dannosi al Comparto Ittico.
Perché se è vero che la presenza di micro particelle di plastica nel mare rappresenta un pericolo per l’ambiente, rappresenta anche un pericolo per le attività di pesca e le entrate delle imprese.
Senza considerare i danni causati alle imbarcazioni che si imbattono nei relitti plastici quali ulteriori oneri che gravano sui pescatori e i danni derivati che sono di una economia sostenibile ed una sostenibilità ambientale e socio economica.
Campagne giuste e sacrosante di sensibilizzazione e lotta contro le plastiche ma vanno considerati il danno che producono all’ immagine della Pesca e la diminuzione dei consumi.
Infatti, la preoccupazione per la presenza di plastica nelle carni dei pesci, spinge sempre più ad evitare di acquistare prodotti ittici. Come rilevato da uno studio scientifico fatto fin dal 2013, ogni anno, a causa delle ridotte entrate di cattura e dei maggiori costi di rimozione, i rifiuti marini costano al settore della pesca dell’Unione europea circa 61,7 milioni di dollari.
La plastica sta quindi sta soffocando i nostri oceani, ma danneggia pesci, uccelli e penalizza in modo “orizzontale” tutta la società. Il commissario europeo all’ambiente, gli affari marittimi e la pesca, il maltese Karmenu Vella, ha spiegato il senso della proposta di direttiva approvata a Bruxelles che mette al bando la plastica monouso ammettendo che il conto più salato è quello che devono pagare i pescatori. Il Commissario ammette infatti che già oggi i pescatori sono obbligati a riportare in banchina le reti rotte, i rifiuti dispersi da altri in mare ma a pagare sono loro i nostri pescatori. L’obiettivo della proposta in Commissione è di coinvolgere i produttori delle reti di plastica e delle plastiche più in generale ad essere responsabili (e a pagare) per la gestione del loro smaltimento.
Chi paga il conto?
Così in una nota UNCI Agroalimentare