Le criticità esistenti nel mondo della pesca produttiva sono molteplici e necessitano di trovare soluzioni sempre più condivisee scientificamente sostenibili. Non solo, ma l’intera categoria deve poter contare su risorse capaci di ridare ossigeno alle imprese e agli operatori imbarcati, sempre meno competitivi in un contesto che non vede l’attività svolta nel bacino del Mediterraneo godere della stessa attenzione che le istituzioni comunitarie riservano ai Mari del Nord. Per questa ragione, come esplicitato ampiamente e con dovizia di particolari nelle premesse, l’onorevole dem Laura Venittelli, componente della XIII commissione e responsabile nazionale del settore Pesca e acquacoltura del Pd ha promosso una risoluzione in Commissione con la quale impegna il Governo ad accelerare l’erogazione dei trattamenti di cassa integrazione in deroga per il settore pesca riferiti al 2016, anche per gli armatori imbarcati, superando così le difficoltà riscontrate da alcune sedi locali.
Inoltre, nella medesima risoluzione si invita il Governo a rivedere la legge 28 luglio 2016 n. 154 in materia di sanzioni e di sistemi di controllo, adattandoli alle peculiari dimensioni delle imprese nazionali. Infine, ultimo comma del dispositivo contenuto nell’atto parlamentare, il Governo viene impegnato a ripristinare la Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura presso il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, coinvolgendo le associazioni rappresentative delle imprese di pesca.
“Si tratta di una triplice esortazione attraverso cui vogliamo che l’Esecutivo e i dicasteri interessati rispondano compiutamente coi fatti rispetto alle aspettative del comparto, che vive un momento di estrema difficoltà”, conclude la deputata del Pd.
RISOLUZIONE IN COMMISSIONE
La XIII Commissione,
premesso che:
la pesca italiana versa in una crisi che appare irreversibile se si considera che negli ultimi trent’anni, su 8mila chilometri di coste, le imbarcazioni sono diminuite del 33%, i rimanenti 12mila scafi hanno un’età media di 34 anni e si sono persi 18mila posti in un settore che dà oggi lavoro direttamente a 27mila persone, senza considerare l’indotto;
la gestione di risorse naturali, quali le specie ittiche, favorisce la concentrazione delle attività in poche imprese di pesca, possedute da pochi soggetti, una situazione sta progressivamente distruggendo quella straordinaria rete di imprese diffuse, su cui si è retta la pesca in Italia, dal secondo dopoguerra ad oggi, assicurando lavoro e reddito agli addetti del settore e in genere alle comunità e ai territori in cui operavano;
le cause di questa crisi si fondano sulla concorrenza di mari lontani e delle barche croate, albanesi, nordafricane, che hanno innescato un crollo delle quotazioni del pesce mettendo fuori mercato i pescatori italiani anche a causa degli alti costi delle loro attività;
il pescatore italiano è stritolato dalle quotazioni del pesce importato e dai costi ben più alti di quelli dei pescatori egiziani, libici e tunisini;
a ciò si aggiunga la gabbia delle regole imposte dall’Unione europea, quali i vincoli sulle misure delle vongole e taglia minima e attrezzi di cattura o l’obbligo di tenuta a bordo del “libro del pescato”;
inoltre, il sistema delle quote per la caccia al tonno rosso, prodotto ad altissima redditività, è fortemente squilibrato e richiede un intervento urgente per rivedere la ripartizione delle quote tra i diversi settori interessati;
ai problemi della concorrenza e di un consumo sempre meno consapevole, si aggiungono disposizioni legislative irragionevoli che è necessario modificare, come l’introduzione di sempre più pesanti sanzioni e di complessi e stringenti strumenti di controllo sull’attività esercitata che, nel loro insieme, criminalizzano in modo inaccettabile un settore economico costituito da imprenditori che fanno e danno lavoro e che, insieme all’indotto, sviluppa un volume d’affari, che un paese in difficoltà economica come l’Italia non si può permettere di mortificare ulteriormente;
tutte queste restrizioni ricadono anche sulle attività commerciali, le sanzioni accessorie si applicano anche a pescherie e ristorante per i quali, in taluni casi, è prevista la chiusura a tempo dell’esercizio, tanto che per non incorrere in sanzioni tali esercizi preferiscono acquistare pescato proveniente dall’estero;
a tali problemi si aggiunge il fatto che i sistemi di controllo applicati alle imprese della pesca (BLUE BOX – AIS – Giornale di bordo elettronico) e di verifica sull’attività di pesca (rigetti in mare del pesce sottomisura), pur essendo un forte deterrente all’esercizio della pesca illegale, richiedono una cura e una puntualità nella gestione, più adatta ai grandi motopescherecci che operano nell’Oceano Atlantico e nei mari del Nord Europa, che alle imbarcazioni più diffuse nel nostro Paese, non grandi, prive di spazi e comodità a bordo, composte da equipaggi modesti (in media 2/4 persone), che operano in aree di pesca, dal punto di vista morfologico, completamente diverse rispetto ai grandi mari europei;
la minore dimensione delle imprese italiane della pesca, fa sì che esse siano molto esposte al rischio di criminalizzazione, per aver commesso infrazioni, il più delle volte determinate dalla impossibilità di evitarle, piuttosto che dalla volontà di commetterle;
il clima difficile che si sta creando tra gli operatori richiede il ripristino di un dialogo costruttivo tra istituzioni e mondo della pesca, costituito dalle imprese e dalle associazioni di rappresentanza del settore, anche per ridiscutere normative che non tengono conto delle specificità del settore come l’articolo 39 della legge n.154 del 2016 che, pur depenalizzando le infrazioni previste per la cattura sottomisura di una serie di specie ittiche, ha introdotto sanzioni amministrative che, all’atto pratico, risultano sproporzionate ed eccessivamente punitive anche perché sganciate dall’elemento psicologico, impegna il Governo ad accelerare l’erogazione dei trattamenti di cassa integrazione in deroga per il settore pesca riferiti al 2016, anche per gli armatori imbarcati, superando le difficoltà riscontrate da alcune sedi locali dell’INPS;
a rivedere la legge 28 luglio 2016 n. 154 in materia di sanzioni e di sistemi di controllo, adattandoli alle peculiari dimensioni delle imprese nazionali; a ripristinare la Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, coinvolgendo le associazioni rappresentative delle imprese di pesca.