Islanda: paese di pescatori tra innovazione e sostenibilità – L’industria ittica islandese ha fatto dell’innovazione e della sostenibilità le sue due aree di sviluppo. La sfida del momento: promuovere e riconoscere l’eccellenza dei suoi prodotti e della sua industria.
L’Islanda è un paese di pescatori ed è il secondo produttore del continente europeo. Il settore assicura 7.500 posti di lavoro diretti (3,9% della popolazione attiva) e vale quasi il 10% del PIL del paese. Le circa 1.500 navi islandesi catturano un milione di tonnellate di pesce ogni anno per quasi un miliardo di euro. Le specie principali sono il merluzzo bianco (220.000 tonnellate), il merluzzo carbonaro (77.000 tonnellate), l’aringa (72.000 tonnellate), l’eglefino (41.000 tonnellate) e lo scorfano (28.000 tonnellate).
L’Islanda è un esportatore di prodotti ittici, che rappresentano in valore il 43% delle esportazioni del paese. Il 60% delle catture viene esportato. Tra questi, il 44% del valore deriva da prodotti surgelati, lavorazioni effettuate a bordo o in fabbrica. L’Europa rimane il mercato dominante, con una percentuale compresa tra il 70 e l’80%. Il Regno Unito rappresenta il 18% delle esportazioni di prodotti ittici islandesi, seguito da Francia (14%), Stati Uniti (9%), Spagna (7%) e Norvegia (7%).
L’acquacoltura ha registrato una rapida crescita dal 2016. È passata da 8.000 tonnellate nel 2015 a 40.000 tonnellate nel 2020, di cui 35.000 tonnellate di salmone. Il resto è salmerino alpino e una quantità marginale di trota. La produzione dell’acquacoltura mira ad essere molto qualitativa e mira a competere con il modello norvegese. Ma per il momento il settore ha un peso trascurabile nella produzione islandese. Il paese e la popolazione sono storicamente e culturalmente orientati più alla pesca e al mare che alla terra, all’agricoltura e all’acquacoltura.