La bussola. Le figure “speciali” dell’imprenditore ittico e del pescatore – La pesca marittima, inizialmente, era stata contemplata nel secolo scorso dal Codice della Navigazione del 1942 ma, a partire dal 1965, è stata regolamentata con un’apposita legge “speciale” dettata dalla necessità di trattare in maniera più completa ed articolata un’attività così complessa e soggetta a continue evoluzioni ed aggiornamenti i quali si sono poi amplificati fino ai nostri giorni soprattutto con l’introduzione comunitaria della Politica Comune della Pesca (PCP).
La specialità è rimasta però una caratteristica aggiuntiva rispetto a quanto previsto dal Codice della Navigazione in materia di nave (il mezzo di produzione utilizzato), di armatore/impresa (chi assume l’esercizio dell’attività) e di equipaggio (i pescatori). Pertanto, chi assume l’esercizio di una nave deve fare la dichiarazione di armatore all’ufficio di iscrizione di essa e chi vuole imbarcare sulla nave come marittimo professionale deve essere iscritto nelle Matricole della Gente di Mare. Ciò comporta il preventivo possesso di requisiti ed il successivo rispetto di tutte le condizioni, salvo alcune esenzioni e/o semplificazioni, richiesti dal suddetto Codice.
Esaminiamo separatamente queste due figure di imprenditore e di pescatore. La legge speciale del 1965 non dava una definizione di impresa di pesca limitandosi a stabilire l’obbligo dell’iscrizione in un Registro delle Imprese di Pesca, tenuto dalle Capitanerie di Porto, per coloro che intendano esercitare la pesca marittima. Inoltre, il Regolamento del 1968 di attuazione di tale legge prevedeva il caso che le due figure di imprenditore e di armatore potessero essere disgiunte. Tale ipotesi, apparentemente paradossale, derivò probabilmente dalla mera possibilità, per una impresa, di poter noleggiare navi da pesca senza doverne assumere direttamente l’esercizio.
L’ultima, ed ancora vigente, definizione di imprenditore ittico la troviamo nel decreto legislativo del 2012 di riordino della normativa nazionale in materia di pesca e acquacoltura che lo individua in colui che esercita professionalmente l’attività di pesca in forma singola, associata o societaria. Quindi si è avuto un avvicinamento alla definizione di imprenditore dettata del codice civile che stabilisce che, genericamente, esso sia colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata. Ne deriva che, a differenza del Regolamento del 1968 che inquadrava solamente nella persona fisica l’imprenditore separandola da quella del legale rappresentante di un’impresa avente personalità giuridica, adesso quest’ultima viene inglobata in tale termine.
Tuttavia la stessa norma nazionale del 2012 non si limita alla definizione di imprenditore ittico ma, fatte salve le disposizioni più favorevoli di legge di settore, sancisce che all’imprenditore ittico si applichino le disposizioni previste per l’imprenditore agricolo, la cui disciplina, ricordiamo, è regolata dal Codice Civile. Un intreccio animato dal comune denominatore della produzione di beni primari e dalla opportunità di estendere l’applicazione dei regimi (più favorevoli) previdenziali e contabili anche all’impresa di pesca, come peraltro confermato da una sentenza del Consiglio di Stato.
Anche l’Unione Europea non si sottrae a proprie specifiche definizioni e nel Regolamento di Controllo del 2009 introduce il termine di “operatore della pesca”, consistente in una persona, fisica o giuridica, che gestisce o detiene un’impresa che svolge attività connesse a una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione, commercializzazione, distribuzione e vendita al dettaglio dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Quindi l’UE preferisce generalizzare con un termine di più ampio respiro con l’intento di superare le varie denominazioni nazionali e lo identifica in colui che si occupa in modo concreto (cioè che vi lavora) del settore della pesca con un ventaglio di attività, singole o associate, tra le quali è ricompresa anche la fase di produzione che stiamo trattando.
Abbiamo visto che nel tessuto normativo nazionale l’armatore di una nave da pesca è considerato il titolare della licenza di pesca e quindi assume l’esercizio dell’attività di pesca professionale con la stessa nave. A questo scopo egli ha il compito di nominare il comandante della nave, che deve essere una persona munita delle abilitazioni necessarie per svolgere questo ruolo, nonché di arruolare il resto dell’equipaggio. Tutto l’equipaggio, compreso il comandante, oltre che ad essere soggetto al possesso dei requisiti ed alla specifica disciplina del Codice della Navigazione, in forza della legge speciale del 1965 deve, altresì, conseguire l’iscrizione nel Registro dei Pescatori Marittimi Professionali tenuti dalle Capitanerie di Porto. Tale iscrizione vincola il marittimo ad esercitare la pesca quale attività prevalente escludendo la possibilità di poter svolgere altre attività a carattere permanente, sia in forma autonoma che come lavoratore dipendente, pena, appunto, l’esclusione dal suddetto Registro. In realtà, in una delle passate leggi cosiddette “omnibus” era stata prevista la rimozione di tale vincolo ma non è mai susseguita la pertinente norma applicativa. Il Regolamento del 1968 prevede il conseguimento anche di titoli professionali per la pesca, tra i quali spicca quello del capopesca che ha il compito della direzione delle operazioni di pesca ed è la figura principale a bordo dopo quella del comandante nello svolgimento delle suddette operazioni. Tuttavia non sono mai stati emanati i programmi di esame per il conseguimento di tale qualifica che viene però prevista, in maniera indiretta, nei contratti collettivi di categoria riconoscendola normalmente ai marittimi con più anzianità a bordo che acquisiscono così anche vantaggi retributivi.
È evidente che il legame di fiducia tra imprenditore (armatore), comandante ed equipaggio costituisce il punto di forza per un buon rendimento dell’attività di pesca e rappresenta sempre il filo conduttore per il mantenimento di un clima adatto per stemperare le dure condizioni lavorative cui sono sottoposti i marittimi pescatori e le incertezze economiche con cui invece deve confrontarsi l’imprenditore. Questo costituisce un ulteriore carattere speciale per queste categorie e si ha sempre l’impressione che l’attenzione politica non si sia mai sufficientemente concretizzata. Ne è la riprova che in questa esposizione molti tratti essenziali dell’attività di pesca sono stati riferiti a norme vecchissime e non adeguate alle evoluzioni intervenute. È vero che la legge speciale del 1965 è stata per gran parte abrogata da una norma del 2004 ma ne è stato mantenuto finora in vigore il relativo regolamento del 1968 che disciplina la pesca marittima nazionale e non ha ancora trovato spazio una vera riforma settoriale.
In un precedente intervento ho accennato all’esistenza di un disegno di legge presso il Senato, già approvato dalla Camera dei Deputati, che propone talune semplificazioni e miglioramenti procedurali nel settore della pesca marittima ma costituisce solo un piccolo tentativo, comunque utile, verso una diversa visione prospettica del settore. In realtà ci vorrebbe un grande lavoro di revisione e programmazione per il futuro e bisognerà attendere che con la nuova legislatura appena iniziata e le revisioni delle competenze ministeriali, prima fra tutte quella dell’istituzione del Ministero del Mare, possano per davvero dare una spinta definitiva per il soddisfacimento delle aspettative del settore pesca.
La bussola. Le figure “speciali” dell’imprenditore ittico e del pescatore