Il 27 agosto scorso la rivista scientifica Current Biology ha pubblicato un recentissimo studio dell’Università di Glasgow. L’articolo si intitolava A Scientific Basis for Regulating Deep-Sea Fishing by Depth e una settimana dopo la sua diramazione, nelle aule del parlamento di Bruxelles i funzionari degli stati membri dell’Unione Europea dibattevano dello stesso e identico argomento che aveva fatto da corpo al pezzo del giornale specializzato nel campo della biologia. Tecnologia considerata altamente rivoluzionaria alla metà del Settecento, quando fu utilizzata per la prima volta, la pesca a strascico porta con sé un problematico retaggio fin dal suo primo impiego. Tale retaggio l’accompagna fino ai giorni nostri, conferendole spesso e volentieri la caratteristica di tematica ampiamente discussa e, in alcuni casi, anche oggetto di scontro da parte di diversi fronti.
Come si diceva, fin dal suo esordio, la pesca a strascico ha sollevato non pochi interrogativi sulla bontà della sua metodologia. Brevemente, la pesca a strascico viene praticata trainando una rete da pesca, che ha la forma di un sacco di grandi dimensioni, sul fondo del mare e l’operazione può essere effettuata da una o più imbarcazioni. La manovra, come è intuibile, comporta un serio numero di danni all’ecosistema marino, perché asporta letteralmente e distrugge tutto ciò che si trovi nel fondale. Ci riferiamo a pesci, organismi invertebrati, coralli, alghe e molto altro, tutto spazzato via fatalmente dalle maglie delle paranze (le più comuni tra le reti da strascico). Proprio le maglie delle reti danno origine a un ulteriore aspetto preoccupante della questione, ovvero il fenomeno del bycatch o rigetto, che consiste nel catturare tra il pescato prede non intenzionali. Quest’ultimo potrebbe essere composto da qualsiasi specie: pesci, organismi invertebrati, coralli, alghe anche non commercializzabili e di qualsiasi taglia. Potrebbero figurare anche specie vietate come tartarughe e uccelli o ancora pesci rigettati poiché il peschereccio non possiede la licenza o lo spazio necessario per trasportarli a bordo.
Proprio per difendere l’habitat marittimo, alcuni governi hanno severamente vietato ai pescherecci di eseguire battute di pesca immediatamente al di sotto della costa (in Italia, ad esempio, il limite è fissato entro le 3 miglia marine o al di sopra della batimetrica dei 50 metri) tutelando così la nascita e lo sviluppo della flora e della fauna del mare.
Ed è proprio in questo contesto che si inserisce il lavoro degli studiosi irlandesi, che ipotizzano una soluzione pragmatica per alleviare e magari porre fine ai danni provocati dalla tipologia di pesca in questione. Sostanzialmente la ricerca, svolta nelle acque dell’Oceano Atlantico, dimostra e spiega gli incentivi che l’Unione Europea avrebbe nel chiudere alla pesca a strascico in acque profonde al di sotto dei 600 metri. Le argomentazioni sono convincenti, e fanno riferimento al numero di specie marine e alla loro biodiversità che al di sotto dei 600 metri di profondità verrebbero colpite dallo strascico. Visto il dato precedente, il numero di rigetti in mare subirebbe un drastico incremento, coinvolgendo anche la cattura di varietà protette come squali e razze. Inoltre, in un’ottica del tutto economica, il valore commerciale complessivo dell’intero pescato si ridurrebbe considerevolmente.
Nel tempo sono state diverse le azioni intraprese da diversi organi istituzionali e autorità in merito alla questione pesca a strascico. Il prolisso excursus istituzionale che giunge ai giorni nostri è segnale dell’impegno profuso da più di un soggetto nel lanciare un grido d’allarme rivolto all’Unione Europea, nella speranza di ottenere cambiamenti nel regolamento che attualmente disciplina le modalità di pesca tramite le reti a strascico. Esempi sono i rapporti e le pubblicazioni del CIEM, il progetto Hermione dell’Unione Europea, l’UNEP ed altri hanno sempre messo l’accento sulla pericolosità dello strascico.
Le norme in materia però appaiono del tutto inutili se non supportate da un adeguato sistema di vigilanza e controllo. La cronaca parla puntualmente di episodi in cui i pescherecci violano i limiti della pesca a strascico, ultimo a far parlare quello avvenuto lo scorso agosto nel paradiso incontaminato di Montecristo in località Porto Santo Stefano, in provincia di Grosseto.
Un’azione incisiva di contrasto appare necessaria ora più che mai. Tutelare il mare equivale a tutelare noi stessi.