Sette organizzazioni non governative (Ong) attive nel settore della conservazione marina lanciano l’allarme sull’inosservanza generalizzata dell’obbligo di sbarco, esprimendo i loro dubbi sull’effettiva applicazione, monitoraggio e controllo del divieto di rigetti in mare in una lettera indirizzata al Direttore Generale per gli affari marittimi e la pesca della Commissione João Aguiar Machado.
L’obbligo di sbarco consiste nel divieto, previsto all’articolo 15 del regolamento n. 1380/2013 che ha riformato la Politica comune della pesca, di rigettare in mare di pesci catturati già morti. Tale pratica era abbastanza comune per catture sotto la taglia minima per la commercializzazione o per gli esemplari oltre la quota assegnata per una specie in una determinata area.
Dopo una transizione graduale durata circa quattro anni, dal 1 giugno 2019 tutti pescherecci europei devono sbarcare e contabilizzare queste catture involontarie, potendole tuttavia utilizzare per farine di pesce e mangimi per animali.
In un recente seminario sull’obbligo di sbarco, la stessa Commissione aveva rilevato una notifica a terra insufficiente o comunque sotto le stime degli scarti, che indicherebbe un mancato rispetto del divieto di rigetti. Le sette Ong (Clientearth, Fisheries Secretariat, Seas at Risk, Our Fish, Oceana, WWF e BirdWatch Irlanda) chiedono all’Esecutivo Ue di intervenire in caso il comportamento degli Stati membri, a cui spetta l’applicazione effettiva dell’obbligo, dovesse minare il raggiungimento degli obiettivi della Politica di pesca comune.
Tra le richieste fatte alle Commissione, c’è anche quella di assicurarsi che il piano di riduzione delle catture superflue nelle acque nord-occidentali sia immediatamente rettificato e di prendere una posizione forte nei casi di richieste d’esenzione non sufficientemente giustificate. Inoltre, si suggerisce l’introduzione di un monitoraggio remoto elettronico (REM) per un controllo affidabile degli obblighi di sbarco.
Un meccanismo più efficace di monitoraggio dei rigetti in mare è stato chiesto nel Regno Unito, dopo che un rapporto presentato martedì dalla Camera dei Lord ha rilevato come né il governo britannico, né quello scozzese fossero in grado di quantificare l’ammontare di pescato illegalmente rigettato in acqua.
Il co-autore del rapporto, Lord Teverson, ha riferito al Guardian come l’applicazione del divieto sia stata finora del tutto inadeguata, criticando il governo per un fallimento che non ha tenuto conto di come il tema fosse stato oggetto di campagne mediatiche e petizioni nel Paese. Sotto accusa anche la strategia del governo britannico di offrire incentivi per il rispetto dell’obbligo di sbarco, facendo passare il messaggio sbagliato che il sistema fosse invece volontario.
Gerardo Fortuna