La tinca predilige le acque a corso lento. Una tipologia di pesce che sta soffrendo molto l’invasività delle specie alloctone, ma da tempo viene allevata, anche grazie a una riscoperta in ambito alimentare. Ha una livrea verde-gialla e può raggiungere i 4 kg, anche se la taglia media è notevolmente inferiore. Il gusto delle carni, delicato ma caratteristico, si presta per molte preparazioni: ottima, ad esempio, in carpione, affumicata, fritta, in umido o al forno. La tinca gobba dorata del Pianalto di Poirino, in Piemonte, è una tipologia a Denominazione di origine protetta. La riscoperta della tinca e della sua storia è dovuta anche all’allevamento.
Tra le province di Torino e Cuneo, a Poirino e nei comuni del Pianalto, la pianura rialzata, argillosa, che si estende dalla pianura del Po fino al Roero, l’allevamento della tinca si tramanda da secoli. Nel Settecento è addirittura documentata la presenza di 8 famiglie che allevavano tinche come occupazione principale. La tinca è onnivora. Mangia di notte e preda larve di zanzara e di moscerini (i chironomidi che stanno nel fango), mangia lumachine da acqua stagnante che spesso invadono gli stagni e sanguisughe o planarie. Li scova tutti con i due barbigli, organi di senso fenomenali con cui setaccia il fondo. Ma si nutre anche di semi, erbe acquatiche e ogni altro vegetale ad alto contenuto glucidico e proteico che trova.
Un pesce che può essere allevato con avanzi alimentari umani. La carne è ricca di spine, ma il sapore deciso l’ha resa protagonista di molti piatti regionali: in Lombardia, è riempita di formaggio e pane e cotta al forno col burro; nel viterbese, per la tinca a porchetta, è farcita col fegato di maiale e fortemente speziata. In Veneto la tinca è l’ingrediente principale di un apprezzato risotto, che nella versione trentina guadagna anche una guarnizione di bietole. Nonostante sia piuttosto grassa, si consuma anche fritta.