È fatto ormai tangibile: l’emergenza sanitaria da Covid 19 ha generato una crisi economica senza precedenti, colpendo in maniera importante tutti i settori.
L’ impatto sul comparto pesca è drammatico, anche se ad oggi risulta difficoltoso procedere a delle valutazioni esaustive e valevoli per l’intera fascia costiera nazionale, comprese le isole.
I dati che si hanno a disposizione risultano enormemente differenziati, sia in base ai diversi segmenti professionali del comparto, sia in base alle diverse realtà geografiche.
Nel tenere in debito conto tale frammentazione, è comunque possibile formulare delle considerazioni che lasciano purtroppo poco spazio all’ottimismo.
Il “Buongiorno di vede dal mattino”… si dice. Ed infatti le prime giornate di marzo, di solito anticipatrici di primavera e cariche di positive prospettive per il settore pesca, quest’anno invece hanno segnato l’inizio delle chiusure e del lockdown. La crisi epidemiologica ha repentinamente decretato la crisi del settore ittico: la storia recente ci ricorda le date storiche che hanno segnato il collasso del settore con la quasi totalità dei pescherecci fermi un po’ in tutta Italia.
Fermo pesca non obbligatorio e volontario da COVID 19 lo abbiamo chiamato: al di la’ delle difficoltà legate al rispetto delle norme legate alle misure di contenimento, molti hanno scelto di non prendere il mare soprattutto per l’impossibilità di piazzare il pesce sul mercato. Il protocollo d’emergenza attivato per contenere la crisi epidemiologica, ha generato un vero e proprio lockdown per il settore pesca che ha registrato il crollo verticale dei prezzi già a partire dalla seconda settimana di marzo.
Iniziano ad arrivare i numeri sui contagi e sui morti; arrivano i decreti, quello relativo alle misure di contenimento e quello contenente le misure economico a sostegno delle famiglie e dei lavoratori. Chiudono i ristoranti, le mense di ogni tipo, i bar, i mercati. L’interdizione del canale HO.RE.CA fa venir meno un fetta consistente di domanda di prodotto ittico. A questo si è aggiunto un cambiamento determinante nelle abitudini dei consumatori: sin dall’inizio della pandemia gli acquisti hanno riguardato prodotti a lunga conservazione, a discapito dei freschi. Questo trend, iniziato a marzo, risulta ancora fortemente incoraggiato da un diffuso atteggiamento della GDO che preferisce evitare la commercializzazione del fresco per puntare su prodotti lavorati pronti o a lunga conservazione. I nostri pescatori hanno iniziato a registrare sin da subito conti in rosso, con un peggioramento della situazione legato anche alla chiusura dei mercati all’ingrosso: troppa merce invenduta a causa di problematiche logistiche e per mancanza di intermediari commerciali; con la chiusura delle frontiere, vengono azzerate anche le esportazioni. Certo la crisi è profonda e generalizzata: anche per i profani del settore non è difficile intuire che a farne le spese sono soprattutto i pescherecci più grandi, quelli con costi di gestione difficili da coprire. Crolla il prezzo del petrolio, ma non fa cassa! Intanto la comunità della piccola pesca, rappresentativa dell’80% della flotta peschereccia italiana , non riesce quasi più a mettere il piatto in tavola e intanto aspetta certezze legislative .
Si continua ad uscire in mare cercando di fornire pesce fresco alle comunità costiere abituate , ma al di là delle esigue vendite, il problema di piazzare il prodotto sul mercato continua ad esistere! La mitilicoltura vive probabilmente il periodo più triste della sua storia: il ricordo di “una Pasqua vissuta con l’immagine di una piazza San Pietro vuota”, fa avvertire ancora di più il vuoto lasciato da promesse di aiuti mai arrivati. I nostri pescatori sono praticamente in ginocchio, ma non demordono, sanno che “ce la possono fare”, ci si riorganizza e aprile è il mese che segna la ripresa, seppur lenta e graduale, delle attività. Come abbiamo già detto, i pescherecci più grandi hanno potuto contare sulla riduzione del costo del carburante (che rappresenta una delle voci di spesa più consistenti) e su un minor numero di uscite a mare; iniziano le vendite online e la pesca artigianale si affida a un nuovo sistema di consegna a domicilio di prodotto ittico fresco. Le vendite al dettaglio, soprattutto quelle operate sui punti di sbarco, pur rappresentando una opportunità importante, ma presentano ancora problematiche legate al distanziamento sociale. I prezzi sono in ora in fase di risalita, ma risultano ancora troppo bassi e inadeguati. Il nodo fondamentale è ancora rappresentato dalla domanda: se non si riavvia soprattutto il canale Ho.Re.Ca , le speranze di ripresa sono ben poche per tutto il settore.
Per il settore pesca, c’è ancora tanto da fare: qualche Regione solerte sta iniziando a pagare la CIGS in deroga, fa proposte concrete con Bandi di Aiuto alle imprese di pesca e a piccoli passi si inizia a riprendere, ma non basta.
Il post emergenza del settore pesca non deve lasciare nessuno indietro “alle braccia che lavorano, anche nella pesca, corrispondono famiglie di pescatori, quei pescatori troppo spesso dimenticati”!
Così Gennaro Scognamiglio, presidente UNCI Agrolaimentare.