Stiamo facendo il deserto nella fascia costiera Italiana e l’abbiamo chiamato “Pesca ricreativa”
“Al giorno d’oggi … intere zone di fascia costiera, ricche di caverne, anfratti, rifugi per i pesci da tana, un tempo numerosissimi, sono ora spopolati per opera di centinaia di cacciatori subacquei … cernie e polpi, saranno perseguitati sempre più e sempre meglio e la fascia costiera sarà popolata in futuro soltanto da piccoli pesci”.
Come avrà potuto sperimentare chiunque si sia immerso in mare con maschera e tubo (il cd snorkeling) lungo la fascia costiera Italiana o pratichi la pesca subacquea in apnea o le immersioni con autorespiratore – “mezzi ausiliari di respirazione” (senza pescare; come lo scrivente di questa nota), questo estratto da un capitolo sulla pesca sportiva di Sergio Perosino, sembra adattarsi perfettamente allo stato attuale della maggior parte delle specie demersali (legate in qualche modo al fondale) della fascia costiera Italiana.
Invertebrati (ricci di mare, polpi, calamari, patelle, granceole, aragoste, astici etc.) e pesci (cernie, saraghi, dentici, spigole, orate, tordi, lappane, scorfani rossi, corvine, palombi, razze etc.) che un tempo numerosissimi affollavano la fascia costiera Italiana, adesso sono stati praticamente ridotti all’osso ricordando, oltre il celeberrimo motto dello storico Publio Cornelio Tacito (che ha ispirato il titolo di questa nota), anche il famoso romanzo “L’ultimo dei mohicani” di James Fenimore Cooper.
La cosa tragica è scoprire che il bel libro divulgativo di Perosino (La pesca) arrivò nelle librerie nel 1963 (cioè quasi 60 anni fa!) e che quando chi scrive questa nota iniziò a praticare la pesca subacquea (rigidamente in apnea e con la maglia di lana sotto la muta per contrastare il freddo), negli anni 70 del secolo scorso, era ancora possibile fare dei ricchi “carnieri” rispettando le regole auree, anche non scritte, tipo fiocinare pesci come saraghi e orate solo se più di mezzo chilo, arpionare le cernie di almeno 3 kg e cambiare posto, per fare riposare il pesce locale.
Nonostante i ricordi dei vecchi subacquei, che descrivevano abbondanze in mare inimmaginabili per noi giovani sub, ai miei giorni si vedeva ancora molto fra gli scogli e si pescava abbastanza (e sembrava sempre una piccola frazione di quello che si vedeva), anche entro i 10 – 15 m di fondo. Purtroppo, da almeno 15 anni, quando vado a visitare le mie tane “mastre” vedo il nulla che avanza, mentre i giovani colleghi, più addestrati, agguerriti e con attrezzature iper tecnologiche, si devono spingere sempre più al largo dalla costa (su un gommone o magari trascinati da uno scooter e spesso muniti di GPS impermeabile per localizzare immediatamente le tane isolate) e sempre più a quote “abissali” (anche 30 – 40m!) per stanare cernie e saraghi, in alcuni casi esponendosi addirittura ad una forma di embolia gassosa.
Per quanto certamente più rilevante per la fauna ittica costiera, la caccia subacquea è solo uno degli aspetti della pesca cd ricreativa o sportiva; infatti, ai sub che catturano le prede usando i fucili o i “raffi” (ma anche con le mani o il coltellino, per esempio, le patelle o i ricci di mare) si aggiungono i pescatori che usano una varietà di altri attrezzi come lenze & ami, nasse, reti fisse, rezzagli, arpioni etc. operando dalla linea di costa o dalla superfice del mare su barche e gommoni (addirittura anche con le canoe o i Kayak).
A questo punto è necessaria una precisazione terminologica dato che il termine “pesca sportiva”, in passato utilizzato per tutto il settore, dovrebbe essere impiegato solo per individuare i pescatori che operano all’interno di società riconosciute (come la FIPSAS, Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee, la FIOPS, Federazione Italiana Operatori Pesca Sportiva, l’Arci Pesca Fisa, ma ce ne sono altre) e quindi che pescano secondo dei precisi regolamenti che andrebbero seguiti dagli iscritti (almeno in teoria) sia durante le competizioni / gare agonistiche (match e game fishing) sia al di fuori delle stesse.
La specifica terminologica è importante per un’appropriata interpretazione delle norme; per esempio, per un certo periodo nel passato, gli autorespiratori erano consentiti anche per la pesca sub ricreativa, ma non per l’attività sportiva – agonistica (cioè nelle competizioni), mentre adesso l’agonista non può arpionare le cernie, specie ancora permesse, con dei limiti, agli altri ricreativi.
In sintesi, la pesca sportiva dovrebbe essere un segmento della più generale pesca ricreativa o, al limite, un collaterale (come si evince dalla sigla PMSR utilizzata da alcuni autori per indicare la Pesca Marittima Sportiva e Ricreativa), ma una certa confusione rimane. Per esempio, il regolamento Mediterraneo della UE del 2007 distingueva due segmenti separati come ricreativa e sportiva, mentre in altri testi la sportiva è considerata una sottocategoria della ricreativa.
In questa sede, per semplicità, il termine “ricreativa” verrà utilizzato in generale (non a caso, gli anglosassoni preferiscono usare “recreational” o “for fun”, cioè per divertimento, per indicare tutta la pesca non commerciale / non professionale), mentre, volendo distinguere i due segmenti e corrispondenti partecipanti, si potrebbero usare agonistico / agonisti e amatoriale / dilettanti.
Fatte queste premesse, ai giorni nostri si possono individuare tre fondamentali approcci alla pesca marittima (cioè escludendo le acque interne), intesa come l’attività che implica la cattura, uccisione ed utilizzazione (quasi esclusivamente ai fini dell’alimentazione diretta o indiretta umana) di animali marini selvatici come molluschi, echinodermi, crostacei e pesci (di seguito, “pesci” in generale), fatte le debite eccezioni per le specie protette in generale (mammiferi marini e le tartarughe) o secondo le specifiche (vedi dopo).
- Professionale / commerciale (di seguito professionale): cioè come un mestiere da cui trarre sostentamento e profitto economico per sé stessi, la propria famiglia o per l’azienda / cooperativa / società in cui si lavora; la persona che pratica la professionale, conseguentemente, non va a pescare per passatempo e possiede un titolo riconosciuto che gli permette di farlo (la cd licenza); in questa categoria potrebbe rientrare anche la cd pesca di sussistenza, ovvero chi cattura quanto basta appena per il sostentamento della famiglia (modalità che, grazie al cielo, non esiste quasi più in Italia).
- Ricreativa: cioè come un’attività indipendente dal lavoro, un passatempo, uno svago, un hobby, un’attività ludica, da cui trarre divertimento e, magari, la soddisfazione di offrire a familiari e amici una cena a base di pesce fresco catturato con le proprie “mani”; al momento, se si vuol fare il sub si è tenuti solo a registrarsi su un sito ministeriale (vedi dopo), mentre il ricreativo che desidera pescare tonni o pesci spada deve fare una specifica domanda al competente Ufficio Circondariale Marittimo.
- Pseudo-ricreativa: cioè condotta nominalmente come la categoria B), ma di fatto svolta con modalità, obiettivi e implicazioni pertinenti alla categoria A); per esempio, massimizzare la cattura in una singola pescata e vendere i “pesci” sottobanco traendo un profitto economico in nero e operando una concorrenza sleale verso i pescatori professionisti; naturalmente, lo pseudo – ricreativo difficilmente risulterà registrato in qualche modo.
Ovviamente, ci sarebbe anche da ricordare dei distinguo e delle eccezioni per le tre categorie di prima; per esempio, a parte gli ibridi come la “pesca turistica”, la ricerca scientifica può catturare in deroga ai regolamenti generali e in alcuni tipi di pesca non è contemplata l’uccisione del pesce in prossimità della cattura. Per la seconda eccezione, si possono citare i “pesci” destinati al ripopolamento o costituzione degli stock riproduttori per la maricoltura, oppure i “pesci” catturati ma che vengono immediatamente rilasciati in mare (il cd catch & release o, secondo taluni autori, leisure fishing).
A parte queste precisazioni, sempre ai giorni nostri e nella maggior parte dei paesi del mondo, la cattura e l’uccisione dei “pesci” è regolamentata per le categorie A) e B) e contrastata, più o meno con convinzione e veemenza, per la C), categoria che ricade nella pesca illegale e non riportata (Illegal and Unreported Fishing).
In effetti, sempre rifacendosi alle 62 pagine del capitolo sulla Pesca sportiva in mare stilato da Perosino nel suo libro sulla pesca, è incontrovertibile riconoscere che sono stati fatti passi da gigante sia sulla sensibilità ecologica dei praticanti sia sui regolamenti della pesca ricreativa in Italia, fra cui, limitandoci alla subacquea, i più rilevanti sono:
- il capitolo del 1963 stigmatizzava la vendita alla luce del sole di tonnellate di “pesce” (principalmente cernie e aragoste) da parte dei sub “ricreativi” ai turisti delle isole italiane; adesso la vendita è proibita, anche se la pseudo ricreativa continua a farlo (ma almeno, sotto banco);
- il capitolo del 1963 stigmatizzava il ritardo nella proibizione dell’uso degli autorespiratori; adesso sono proibiti, anche se la pseudo ricreativa continua ad usarli;
- il capitolo del 1963 stigmatizzava le centinaia di subacquei che razzolavano in pochi metri catturando, con le mani o con i fucili, qualsiasi forma vivente visibile, anche “neonati”; adesso sono state fissate delle taglie minime, anche se la pseudo ricreativa continua a rastrellare i neonati (con la scusa che tanto li pescherebbe qualcun altro);
- il capitolo del 1963 elencava fra i “pesci” più ambiti dai sub anche i delfini e gli squali; adesso tutti i mammiferi marini e parte degli squali sono protetti, anche se la pseudo ricreativa continua a sparare a squali, razze e financo le torpedini;
- il capitolo del 1963 presentava foto a colori di pescatori “ricreativi” sorridenti (non solo i sub) che mostravano, con orgoglio, squali, razze e persino giovani delfini arpionati e sanguinolenti; adesso solo i più sconsiderati e impermeabili alla cresciuta sensibilità ecologica persistono ad esibire foto con squali, spesso i poveri palombi, prede ultra facili perché tendono ad avvicinarsi fiduciosi e curiosi ai sub (al sottoscritto, i palombi venivano a lambire l’estremità delle pinne) anche a pochi metri di fondo.
Da quanto esposto in precedenza, è evidente come la pseudo – ricreativa sia un cancro che andrebbe represso ed estirpato senza sé e senza ma, anche perché campo fertile per la criminalità (vedi, per esempio, la pesca del mollusco bivalve dattero di mare, attività distruttiva sia per il mollusco che per l’ambiente); per quei (pochi) casi oggettivi di disagio sociale, come disoccupati senza altri redditi, che utilizzano la pseudo – ricreativa come unica fonte di sostentamento, si potrebbero trovare delle soluzioni legislative per regolarne l’attività e almeno fare emergere il fenomeno.
Tuttavia, è corretto specificare che l’illegalità “morde” anche sia la professionale (tipo vendita sottobanco dei sotto taglia) sia ricreativa (tipo pescare di notte o in zone interdette o superando i limiti di cattura giornalieri, il cd bag limit). Per inciso, è interessante ricordare che il bag limit per i sub, adesso pari a 5 kg di taglia regolamentare (dal computo è escluso l’organismo con il peso maggiore) e 1 sola cernia, in passato era stato fissato a 15 kg o 3 grossi pesci (anche cernie), una diminuzione sostanziale indicativa del depauperamento delle risorse.
A questo punto, si può andare al nocciolo della problematica pesca ricreativa (categoria B) ponendo in prima battuta delle domande base a cui cercare di dare risposta.
Prima Domanda (D) – La pesca ricreativa deve essere fortemente regolamentata e controllata per evitare che desertifichi la fascia costiera?
Prima Risposta (R) – Come si dice adesso (e sulla base della Figura 1), assolutamente si! Per la sua natura di passatempo, la ricreativa tende ad avvitarsi in quel circolo perverso che Mario Bussani chiamava (per la professionale) “spirale esaustiva”. Nel caso specifico, la spirale significa che più cernie, saraghi e simili prede diminuiscono, più il ricreativo cerca di aumentare le sue capacità di pesca (fucili più lunghi, torce più potenti, mute più calde, permanenze prolungate in acqua, ricerca di secche al largo, spostamento dell’attenzione verso i pesci più piccoli etc.) incurante dell’aumento del rapporto costi / benefici. La spirale esaustiva è poi alimentata dal fatto che si tende a confondere la produzione potenziale (ciò i pesci che si vedono a mare) con la produttività (ciò quanto pesce riesce a rinnovarsi nell’unità di tempo); per esempio, è un dato di fatto che la “pescosità” per km2 nel Mediterraneo sia di gran lunga inferiore a quella degli Oceani. Tradotto, i numerossimi pesci che affollavano i fondali ai tempi del Perosino si erano accumulati nel corso di anni (decenni per alcune specie come le cernie). Se poi i riproduttori e i piccolini vengono massacrati, riducendo il reclutamento delle nuove generazioni e la probabilità di riuscire a riprodursi almeno una volta nella vita, il collasso locale delle specie diventa inevitabile e l’eventuale recupero richiederà anni o decenni, anche nell’ipotesi che si riuscisse a bloccare del tutto la pesca (sia ricreativa che commerciale) e che ci sia qualche probabilità di successo degli eventuali ripopolamenti con pesci di altre località o ponendo barriere artificiali sul fondo.
Figura 1 – La cattura che un sub apneista di media capacità poteva realizzare, nel 1978, in una battuta di pesca partendo dalla costa (senza scooter, allora non disponibili) ed esplorando le tane entro i 10 – 15m. Apneisti più abili e più “fondisti” (sino a 20 – 30m) potevano realizzare catture di gran lunga più abbondanti.
Seconda D – Può essere che non sia solo la ricreativa la principale responsabile del depauperamento della fascia costiera? Non è che la vera cupa mietitrice dei pesci sia la pesca professionale, per esempio, le numerose reti calate in poco spazio e lo strascico illegale?
Seconda R – Questo è il classico approccio della chiamata in reità o in correità sostenuto dai ricreativi già nel libro di Perosino e che spesso trova (anche oggigiorno) sostenitori sub che condividono l’idea più radicale che “il prelievo dei sub ricreativi (anche quelli che pescano con le bombole) è irrilevante“. Questa congettura era forse difendibile in passato (infatti, si trova nel capitolo sulla pesca sportiva dell’enciclopedia del mare del 1975 già citata), ma adesso è poco credibile date le stime di migliaia di tonnellate di pescato attribuite alla ricreativa. Inoltre, per completezza, il tentativo di scaricare il barile della responsabilità si riscontra anche all’interno della ricreativa; per esempio, molti sub bombolari indicavano e tuttora indicano gli apneisti come principali “desertificatori” sulla base del fatto che la loro battuta di pesca non può durare meno di 1 ora (per ridurre il rischio di embolie) e può interessare un’area molto ristretta di fondale, mentre un apneista può pescare per diverse ore esplorando ampi tratti di fondale (specialmente se, come adesso, munito di gommone o scooter). Tornando alla correità, è vero che la fauna costiera è minacciata da altri impatti antropici come l’inquinamento, l’accumulo di sedimenti (che soffocano il benthos e chiudono le tane) e lo strascico ravvicinato (che, fra l’altro, può contribuire all’infangamento delle tane a causa delle nuvole di sedimenti messi in sospensione dai divergenti); in particolare, i ricreativi indicavano e indicano tuttora nello strascico ravvicinato (ai tempi del Perosino ancora consentito; cfr. pagina 117 del suo libro) il principale agente di desertificazione. Tuttavia, dalla metà degli anni sessanta del secolo scorso, questa attività, effettivamente distruttiva, è proibita entro le 3 miglia o i 50m, forse sarà proibita anche entro i 100m e, seppure sia ancora effettuata da pescatori esasperati dalle basse catture, il fenomeno è in netta diminuzione rispetto al passato. In ogni caso, la pesca a strascico ravvicinata può poco o nulla sulle scogliere sia naturali (come le secche al largo) che artificialei (come i relitti sommersi) che invece possono essere desertificati dai subacquei (anche quando i relitti sono protetti!).
Terza D – Si può pensare, se non abolire del tutto, a limitare fortemente la pesca ricreativa?
Terza R – In teoria sì, ma la riduzione comporterebbe un notevole danno economico nazionale incidendo drasticamente sul giro di affari delle migliaia di esercizi commerciali che vendono attrezzature ai ricreativi, della cantieristica da diporto e all’indotto. Per avere un’idea delle cifre in gioco, basti pensare che un sub, mediamente appassionato, spende almeno 2000 euro per muta, pinne, torcia, fucili (di solito, almeno due), maschera e scooter di superfice per muoversi (senza contare il cd turismo subacqueo). Se poi il sub ricreativo optasse per una barca o gommone i suoi costi si amplificherebbero notevolmente (carburante, dotazioni di bordo, spese per l’ormeggio, rimessaggio del motore e del mezzo etc.) e la sua attività diverrebbe più complicata (necessità di un accompagnatore che deve rimanere a bordo del mezzo nautico).
Allora che fare per il futuro della pesca ricreativa Italiana?
In primo luogo, e limitandoci sempre alla categoria B, sarebbe necessario migliorare il quadro conoscitivo attuale in termini di i) numero di ricreativi, ii) capacità (per esempio, numero di imbarcazioni), iii) livello di efficienza (quanto pesce per ora di attività) e iv) grado di vigilanza e sanzione (% di praticanti individuati nel non rispettare i regolamenti e sanzionati).
Per la categoria C (pseudo – ricreativa), sarebbe fondamentale stimare la dimensione di questa attività e quanto la stessa possa incidere sulla desertificazione (le stime attuali appaiono troppo aleatorie).
Purtroppo, per tutti i precedenti livelli conoscitivi, chi scrive non è riuscito a trovare informazioni ufficiali recenti. Dal sito del “Piano di Lavoro Nazionale per la Raccolta di Dati Alieutici (PLNRDA)” (https://dcf-italia.cnr.it/web/ o Fishnet) si evince l’attivazione di un modulo di ricerca sulla pesca ricreativa, ma la richiesta di ricevere i relativi rapporti (fatta sempre nel sito) non ha ricevuto alcuna risposta (almeno al momento). Chi scrive non è nemmeno riuscito a trovare informazioni recenti sul sito www.politicheagricole.it (ma forse per personale limiti nella capacità esplorativa).
Pur in mancanza di dati ufficiali recenti, per chiunque frequenti in qualche misura le nostre coste sembra possibile fare delle crude stime sui punti precedenti e confrontarle con i dati disponibili.
Quanti sono i ricreativi? à Tantissimi! Sulla base delle osservazioni di chi scrive, si possono considerare 10 – 30 (secondo la stagione) fra sub ed “anglers” (chi usa lenze & ami e altri attrezzi, da riva o dalla superfice del mare) per km lineare di costa, arrivando ad un ordine di grandezza di poche centinaia di migliaia di praticanti; però nel volume del 2011 (su cui si tornerà dopo), Tudini ne riporta quasi 600000 e la FIPSAS arriva a 1 milione (stima condivisa successivamente dal MEDAC), mentre Roberto Silvestri arriva a 2 milioni di praticanti (almeno saltuariamente).
Qual è la loro capacità ed efficienza di pesca? Di gran lunga maggiore a quella ipotizzabile ai tempi del Perosino. Oggigiorno, barche, gommoni, scooter e attrezzature da pesca sempre più sofisticate, sono accessibili ai più. Per i sub, in particolare, torce a led più illuminanti, i GPS già citati e i fucili più affidabili e più lunghi (muniti di mulinelli) hanno certamente raddoppiato o triplicato sia il raggio di azione che la capacità di cattura (basti confrontare un moderno fucile oleopneumatico o arbalete a doppi elastici con i vecchi fucili a molla). Le catture poi sono stimabili in migliaia di tonnellate per anno (nel volume del 2011, Tudini riporta sino a 8000 t e Cautadella stimava in 150 t la quota attesa solo sulla base del tonno rosso pescato dai ricreativi). Sempre Silvestri ipotizza un intervallo per la cattura dei ricreativi che va dal 1.5 al 10% in peso sul catturato totale della pesca professionale marittima Italiana. Queste %, più o meno condivise anche da altri Autori, applicate alla stima ufficiale della produzione nazionale della pesca marittima italiana nel 2020 (ca 135000 tonnellate), significherebbe che la ricreativa ha tolto dal mare, nello steso anno, diverse migliaia di tonnellate di “pesci”. È fondamentale però ricordare che, anche considerando relativamente basse le catture ricreative, le stesse si riferiscono, per buona parte, a specie costiere pregiate e attualmente fortemente impoverite; i casi più emblematici sono i labridi (lappane e tordi, anche più facili da catturare per i neofiti, sono praticamente scomparsi) e varie specie di cernie (fra cui la grigia, Epinephelus marginatus ex E. guaza) di cui, nel recente passato, i grossi esemplari (10 – 20 kg) si potevano incontrare e catturare anche a pochi metri di fondo, dove era frequente anche incontrare decine di reclute (da 0.5 a meno di 1 kg) che non mostravano alcun timore verso i sub e per questo falcidiate dagli sprovveduti neofiti o sconsiderati sub.
Qual è il grado di vigilanza e sanzione? Estremamente basso per la vigilanza e quasi impossibile per la sanzione data la difficoltà oggettiva di controllare un’attività “polverizzata” nello spazio e nel tempo. A ciò si aggiunge l’intrinseca difficoltà di appurare l’eventuale infrazione; per esempio, un sub esperto non terrà mai il pesce in eccesso al bag limite al pallone e quindi se fermato in acqua dal controllo lo farà cadere sul fondo. Una volta allontanatesi i controllori, potrà facilmente recuperare il carniere e tornare indisturbato a riva.
Qual è la “dimensione” della pseudo – ricreativa? Probabilmente elevata specialmente lì dove più basse sono le opportunità di occupazione e la sensibilità ecologica e più incombente la criminalità. A parte il precedente caso dei datteri di mare, uno dei fenomeni più emblematici della pseudo – ricreativa è la razzia dei ricci di mare in Sicilia dove abusivi, ben organizzati, raccolgono migliaia di ricci in un giorno a fronte del limite consentito di 50 esemplari / sub e delle taglie minime. A parte la decimazione dei ricci e il conseguente impatto sull’ecosistema (proliferazione di alghe e meno cibo per saraghi e orate), il fenomeno crea conflittualità con i veri ricreativi locali che trovano solo i ricci neri fra gli scogli). Anche se si ha il coraggio di denunciare gli abusivi (spesso dall’aspetto e comportamento poco rassicuranti per il comune cittadino), raramente le forze dell’ordine hanno il tempo di poter intervenire.
Tornando alla domanda di prima (“allora che fare per il futuro della pesca ricreativa?”), a parte una più incisiva ed efficace repressione della pseudo – ricreativa (anche aumentando la tracciabilità e i controlli sugli “utilizzatori” finali come i ristoratori poco scrupolosi e creando un modulo apposito su tuta la pesca illegale nel PLNRDA), è evidente che urge un riesame complessivo del fenomeno per cercare nuovi possibili, quanto in parte alternativi (cfr. il documento MEDAC) interventi per garantire la pesca ricreativa della categoria B) come importante attività socio – economica e, nel contempo, mitigarne l’impatto sulle specie pregiate e più vulnerabili della fascia costiera.
In effetti, sulla falsa riga di quanto fatto, in modo pioneristico, nel passato (cfr. la legge n 963 del 14 luglio 1965) in parlamento si sta lavorando su una nuova proposta di legge (n 2362; febbraio 2020) dal titolo “Disciplina della pesca ricreativa in mare e disposizioni per la salvaguardia della fauna ittica e dell’ecosistema marino” (che però non sembra ancora definita e pubblicata sulla G.U. almeno al 14 luglio 2021; https://temi.camera.it/leg18/dossier/OCD18-15338/disciplina-della-pesca-ricreativa-mare-e-disposizioni-salvaguardia-della-fauna-ittica-e-ecosistema-marino.html).
Sembra che la pesca ricreativa sarà anche attenzionata (specialmente il problema della carenza di dati) nel prossimo Programma Operativo Nazionale finanziato dal Fondo Europeo per gli Affari Marittimi, la Pesca e l’Acquacoltura (FEMPA).
La prospettiva di un nuovo ordinamento e possibili finanziamenti, ha riacceso l’ampio dibattito fra tutti gli interessati nell’ambito del quale sono stati proposti diversi interventi fra cui si possono citare (sinteticamente) i seguenti:
- migliorare il quadro conoscitivo proseguendo la registrazione dei ricreativi in un albo come già lodevolmente avviato dal governo Italiano (cfr. D.M. 6 dicembre 2010 e 15 Luglio 2011; Mipaaf, Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), con il motto “Contiamoci per Contare”, e proseguendo il monitoraggio delle catture ricreative (informazione non contemplata prima del 2010);
- diffondere il quadro conoscitivo compilando dei resoconti annuali e inserendoli nei documenti inviati all’Unione Europea e negli Annuari sullo stato delle risorse e sulle strutture produttive dei mari italiani (previsti dal PLNRDA); in entrambi, attualmente, non c’è traccia della pesca ricreativa, mentre il tema era stato trattato nel già citato volume pubblicato nel 2011 (cfr. i due capitoli di Cautadella e Tudini);
- fare conseguire alla registrazione di cui al punto I) un patentino plastificato da portare con sé durante la pesca; questo documento deve rimanere gratuito, ma dovrebbe essere vincolato alla partecipazione ad un corso formativo sull’ecologia degli organismi marini e conseguenza della pesca (non solo ricreativa) sui loro cicli di vita (con particolare attenzione alle taglie minime compatibili con la riproduzione); sarebbe anche opportuno che il ricreativo debba esibirlo ai negozianti per poter acquistare l’attrezzatura;
- specificare nel patentino il tipo di pesca ricreativa che il praticante potrà esercitare; i sub, in particolare, dovranno scegliere fra pesca di tana (quindi fucile non più lungo di 70 cm) e pesca all’aspetto (fucile lungo, ma con specie catturabili limitate, per es. solo ricciole e dentici); sia per la pesca in tana che all’aspetto, non dovrebbe essere consentito l’uso di fonti luminose;
- introdurre l’obbligo di una mutilazione standard dei pesci catturati dai ricreativi; la proposta di legge ha accolto il taglio del lobo inferiore della pinna codale, ma forse sarebbe stato meglio l’asportazione degli occhi, intervento macabro, ma efficace come dissuasore per i commercianti o ristoratori e avviso per i consumatori;
- produrre delle guide analoghe a quella del 2012 (citata in bibliografia) che spieghino in dettaglio, in modo accurato e preciso e con figure le limitazioni a cui deve sottostare il pescatore ricreativo (Figura 2, 3), ricordando che una recidiva contravvenzione comporterà anche il ritiro della licenza; per la guida, appare ottimo introdurre l’obbligo da parte dei commercianti e ristoratori di esporre al pubblico sia le specie protette sia le taglie minime delle varie specie (questo secondo è contemplato nella proposta di legge);
Figura 2 – Esempio di raffigurazione di un attrezzo (Palangaro, detto anche palamito o conzo, di superfice) consentito ai ricreativi nella Guida del 2012. Nel testo è poi specificato (fra altre istruzioni) che è vietato armare palangari per le specie pelagiche altamente migratorie (come il tonno).
Figura 3 – Esempi di limitazioni alla taglia degli esemplari catturabili dalla ricreativa (in caso di cattura, i sotto taglia vanno rilasciati in mare qualunque sia la loro condizione). Due appunti sulla guida del 2012: il primo è che per i sub non si specifica il fenomeno fisico per il quale un pesce in acqua appare più grande del reale a causa dell’effetto della maschera; il secondo, con la specifica “è vietato catturare, detenere a bordo, trasbordare e sbarcare femmine mature (ovvero con uova) (pag. 5) / femmine mature (pag. 14) di astice e di aragosta” si genera confusione visto che le uova non sono sempre presenti nelle femmine seppure di taglia superiore alla maturità. La confusione sembra risolta nella recente proposta di legge già citata che meglio esplicita è obbligatorio lasciare a mare le femmine con le uova fra le appendici (pleopodi) dell’addome.
7. accogliere e implementare l’idea di permettere l’accesso ai ricreativi alle scogliere frangiflutti dei porti (lato mare aperto e ove non sussistano problemi, per es. di inquinamento), previa dichiarazione di sgravio di responsabilità, e magari creando sugli stessi moli dei percorsi sicuri e delle piazzole per la pesca con la canna; nei porti più grandi (con moli chilometrici), questi siti si potrebbero dare in concessione a cooperative a cui il ricreativo potrebbe pagare un biglietto di ingresso;
8. avviare piani per installare sui fondali sabbiosi o rocciosi (ma con poche tane) strutture artificiali da destinare ai pescatori ricreativi; piccoli moduli cavitari (Figura 4) e i relitti di navi dismesse (il cd scuttling; Figura 5) potrebbero rappresentare un’ottima prospettiva rispettivamente per i cannisti e i subacquei; in particolare, nella proposta di legge si parla “di barriere artificiali o di altre strutture sommerse ecocompatibili per assicurare il ripopolamento ittico”;
Figura 4 – Esempi di moduli cavitari per creare barriere artificiali su fondali sabbiosi potenzialmente fruibili dalla pesca ricreativa di superfice. A sinistra, le “Reef balls” (http://www.reefball.com/), a destra, quelli scelti per il progetto “Mare nostrum” di Oceanus onlus in Sardegna (da Pesceinrete).
Figura 5 – Cosa significa un relitto sommerso di una nave per la cd “minutaglia” (a sinistra; castagnole, boghe, menole, occhiate, saraghi fasciati ed altro) e i demersali come il grosso scorfano rosso (quasi 2 kg; a destra). Le foto si riferiscono al Kent (40 – 50 m di fondo a San Vito lo Capo), attualmente protetto (anche se frequentato dagli pseudo – ricreativi (specialmente sub bombolari per le aragoste). Il suggerimento è quello di affondare dei relitti destinati ai ricreativi di superfice (per la “minutaglia”) e ai sub (demersali). Foto: A. Rizzo.
9. avviare un gruppo di lavoro per individuare dei possibili metodi di valutazione quali – quantitativi e le migliori possibili indicazioni gestionali per la pesca ricreativa contemporanea (compito estremamente arduo in generale, ma quasi una mission impossible nell’attuale contesto Italiano); come possibile esempio, constatata la difficoltà di un controllo capillare dei ricreativi, si potrebbe ipotizzare uno schema rotazionale in cui le diverse zone di pesca disponibili alla ricreativa vengano chiuse periodicamente per consentire un parziale “riposo” ai “pesci”. Telecamere mobili (da riposizionare nel cambio delle zone) o l’uso dei droni potrebbero permettere un più agevole controllo a monte (cioè prima che il pescatore entri in acqua o possa calare lenze e reti dalla barca entrata nell’area temporaneamente chiusa).
E se non si riuscisse a rivedere (ed attuare sul campo) il sistema pesca ricreativa in Italia e contrastare in modo efficace la pesca pseudo – ricreativa?
In questo caso, è meglio rassegnarsi e rimodulare il paragrafo di apertura estratto dal libro “La Pesca” di Sergio Perosino come segue:
“A presto … quasi tutta la fascia costiera italiana, ricca di caverne, anfratti, rifugi per i pesci da tana, tanto tempo fa numerosissimi, rimarrà desertificata per opera di decine di migliaia di cacciatori subacquei e altri ricreativi operanti dalla costa o dalla superfice del mare … cernie, saraghi, orate, aragoste, astici, polpi, ricci di mare (e tante altre specie pregiate) non saranno più perseguitati perché ormai estirpati e la fascia costiera sarà popolata soltanto da pesci molto (probabilmente troppo) piccoli”.
Anche il titolo di questa nota sarà cambiato in “Abbiamo fatto il deserto nella fascia costiera Italiana (e la chiamavamo “Pesca ricreativa”)
Bibliografia essenziale
AA.VV. (1975) Grande enciclopedia del Mare. Armando Curcio Editore, volume 5: 1610 – 1633 [la foto in apertura è nel volume 6]
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