Non stupitevi se domani, uscendo da casa per andare a lavoro, troverete davanti alla vostra porta una scopa, una paletta ed un sacco nero per la spazzatura. L’idea è quella di approfittare dei vostri spostamenti lungo i tragitti casa – lavoro e viceversa per dare una mano al decoro e pulizia della vostra città. In pratica, vi viene chiesto di raccogliere cartacce, sacchetti di plastica, mozziconi di sigaretta, lattine e bottiglie di birra vuote, bucce di banane e quant’altro assimilabile a spazzatura potreste trovare lungo i vostri percorsi.
Vi sembra un’idea balzana portarsi dietro scopa, paletta e sacco di spazzatura?
Niente affatto, perché è quello che stiamo chiedendo di fare (su base volontaria o addirittura tramite norme legislative) ai nostri pescatori a strascico con il cd “Fishing for litter” per mitigare il problema dell’impressionante accumulo di varia spazzatura o “monnezza” (denominata, più aulicamente, rifiuti solidi macroscopici) sul fondo del mare (per un’idea delle quantità si rimanda all’articolo su pesceinrete del 10 ottobre 2019).
Chi non è stato mai a bordo di uno strascico, infatti, non ha probabilmente idea del fatto che insieme alle gustose triglie, i delicati naselli, i pregiati gamberi (rosa e rossi) ed alle deliziose aragoste, le reti a strascico portano in superficie una cospicua quantità di rifiuti.
Si tratta di plastiche varie, bottiglie di vetro, batterie di macchine, bidoni metallici, fusti di varie dimensioni (sia vuoti che pieni di roba non meglio definita), cavi e cordame, frammenti metallici, pezzi di reti da pesca, scarpe, vestiti e tessuti, resti di elettrodomestici (come i ventilatori o i computer), elettrodomestici interi (tipo lavatrice), piastrelle di ceramica e molto altro.


Sino a qualche tempo fa, una volta a bordo, il destino di questo pattume era quello di essere restituito al fondo del mare, per essere catturato da altri pescatori, nuovamente essere rigettato, innescando un cortocircuito interrotto solo dal disfacimento dei rifiuti in frammenti così minuti da non poter essere più trattenuti dalle maglie del sacco della rete.
Ma quando arriva questo sminuzzamento che renderebbe i rifiuti non catturabili dallo strascico?
La vita media dei rifiuti in mare è molto variabile; da pochi giorni (per esempio, carta e cartoni) a qualche anno (per esempio, mozziconi di sigarette) per superare le centinaia di anni nel caso delle lattine di bevande e di molti tipi di plastiche.
Certo, si potrebbe pensare di concentrare l’attenzione sui rifiuti il cui sminuzzamento richiede tempi lunghi, ma non è così semplice, specialmente per la plastica. Buste della spesa, bottiglie, teloni delle serre ed involucri vari vanno tolti prima di questo fatidico momento dato che la plastica non ha mai un vero e proprio fine vita. Infatti, nel caso degli oggetti in plastica è meglio catturali il più presto possibile perché, con il tempo, gli stessi oggetti si riducono in frammenti sempre più piccoli (le cd microplastiche) che poi vengono inglobati nel corpo degli animali marini (e se ce li mangiamo, anche nei nostri corpi).
Insomma, l’idea di approfittare dei pescatori per cercare di ridurre, se non eliminare del tutto, la spazzatura dal mare, magari concedendo qualche incentivo in merito, appare del tutto ragionevole e da accogliere a tutto tondo se non ci fossero delle problematiche che vale la pena evidenziare sia per amore di verità sia per non trovarsi poi in serie difficoltà quando i pescatori dovranno attenersi alle norme.
Per semplicità, cercheremo in questa sede di rispondere a quattro domande fondamentali.
- Cosa si intende per rifiuto marino (detto anche marine litter)?
- Quali delle entità che ricadono nella definizione in a) potrebbero essere trattenute in sicurezza a bordo dai pescatori?
- Quali delle entità di cui al punto b) sarebbe meglio rigettare in mare piuttosto che portare a terra facendo “pari e spari” (cioè bilanciando i pro e i contro)?
- La quantità di rifiuti che dopo i punti precedenti saranno trattenuti a bordo e portati a terra, a quale % dei rifiuti in mare corrisponde?
La prima domanda potrebbe apparire banale, ma non lo è perché non è facile dare una definizione esauriente ed operativa di rifiuti marini e, infatti, non c’è un accordo generale in merito. Per semplicità, si presentano di seguito tre definizioni fra quelle che più comunemente sono adottate nella letteratura scientifica (lasciando anche la dizione originale in inglese ove esistente).
- a) Marine litter is considered any persistent processed or manufactured materials lost, discarded or transported in the marine environment à Si considera rifiuto marino qualunque materiale manipolato o fabbricato perduto, scaricato o trasportato nell’ambiente marino.
- b) Marine litter consists of items that have been deliberately discarded, unintentionally lost, or transported by winds and rivers, into the sea and on beaches. à Si considera rifiuto marino qualunque oggetto scaricato deliberatamente, perso non intenzionalmente o trasportato dal vento o dai fiumi, nel mare e sulle rive.
- c) Qualsiasi materiale solido persistente (durevole) prodotto dall’uomo e abbandonato nell’ambiente marino.
A prima lettura, le tre definizioni appaiono molto simili fra loro, ma in realtà contengono una cruciale quanto sottile differenza. Per esempio, una nave affondata deliberatamente per divenire un relitto equivalente ad una barriera artificiale verrebbe classificata come “rifiuto” con la prima definizione, ma non usando la seconda. Rifiuti sarebbero anche i manufatti in mare di interesse storico e culturale come le navi antiche romane e quanto da loro trasportato (anfore, resti in piombo delle ancore, le statue e le colonne). Forse nelle definizioni ci sarebbe da esplicitare meglio termini quali “in violazione delle normative vigenti” e “senza uno scopo preciso di pubblica utilità”. Nessuno si sognerebbe di definire “rifiuto marino” un cavo o un metanodotto sottomarino o le barriere artificiali per proteggere la fauna dalla pesca a strascico illegale né le statue di vario tipo (Cristo, Madonna e altre creazioni artistiche) collocate in fondo al mare.
A prescindere dalle sottigliezze terminologiche, la lista di oggetti che ricadono in genere nelle definizioni di cui prima è molto lunga e, a parte quanto già riportato, comprenderebbe anche le mazzare (Figura 2) ovvero le pesanti pietre di ancoraggio (da 80 a 100 kg cadauna) dei Cannizzi o Kannizzati (o FAD), dove con FAD di intende riferirsi ai sistemi di pesca che catturano specie pelagiche, come lampughe o ricciole, ampiamente utilizzati in Sicilia e Malta.
Adesso, fatte salve le eccezioni di cui prima, nessuno sano di mente imporrebbe ai pescatori di trattenere a bordo per lungo tempo le mazzare perché se ne possono catturare molte in una stessa battuta di pesca e pensare di eliminarle con lo strascico equivarrebbe a tentare di svuotare il mare con un cucchiaino dato che ogni anno ne vengono rilasciate in mare alcune migliaia (con annesse decine di migliaia di km di cima sintetica che collega le mazzare all’apparato superficiale del FAD).
Ovviamente, un’altra tipologia di rifiuti che è meglio (in primis per i pescatori) non includere in una lista di oggetti da trattenere a bordo riguarda i residuati bellici (bombe, razzi e munizioni) o i fusti metallici pieni di contenuti sospetti (che potrebbero essere tossici).


Di contro, altri rifiuti come copertoni (vedi immagine in testa a questa nota), fusti vuoti, elettrodomestici, cavi di acciaio, cime ed attrezzi da pesca sembrerebbero papabili per essere trattenuti e sbarcati dai pescatori. Ci può essere, però, un imprevisto rappresentato dal fatto che il rifiuto in oggetto può avere assunto un’altra prospettiva per molti animali marini. Oltre la murena che ha fatto la sua tana in un copertone (vedi foto iniziale), per Coralli bianchi, Alcionari, Ascidie, Polpi, Aragoste, Gronchi, cernie bianche e certe specie di squali che depositano le uova, barattoli, lavatrici, tubi di ferro, pezzi e cime di rete possono divenire rifugio, sito di deposizione e salvamento di vita (Figura 3).
Si pone quindi il problema di riflettere su quale sia il danno maggiore per gli animali marini oltreché per l’ambiente. In pratica ci si deve domandare se è meglio trattenere e sbarcare la cima da pesca o il bidone metallico con tante capsule ovigere di uno squalo, magari minacciato di estinzione locale, o rigettare in acqua il materiale per permettere alle ascidie di continuare a vivere e alle capsule di schiudere dando “luce” ai piccoli squaletti che potranno contribuire a mantenere lo stock.


Alla fine di questo percorso esplorativo rimane da affrontare le non meno importanti domande su “Quanta spazzatura può stivare a bordo un peschereccio in sicurezza?” e “Quale sarà il bilancio annuale fra eliminazione e nuovi apporti?”
Per la capacità di stivaggio, è indubbio che le strascicanti italiane siano di piccola e media stazza (raramente superano i 30 – 35 metri di lunghezza fuori tutto) e abbiano poco spazio residuo dove mettere da parte i rifiuti, mentre si naviga in mezzo al mare (raramente forza olio) e magari a miglia di distanza dal porto di riferimento. Inoltre, sui pescherecci europei pende la spada di Damocle dell’Obbligo di sbarco (OdS), una norma che impone la ritenzione a bordo dei sotto taglia di alcune specie inserite in apposite tabelle in spazi diversi da quelli destinati alla cattura commerciale.
Adesso, assumendo che il peschereccio possa godere delle varie deroghe all’OdS e sia molto efficiente nel catturare i rifiuti, non c’è bisogno di una laurea in matematica per capire che il contributo dei pescatori alla pulizia dei fondali sarebbe, in ogni caso, solo simbolico. Ogni anno lo strascico italiano potrebbe rimuovere solo una minima frazione della spazzatura già esistente in fondo al mare, mentre contemporaneamente dalle navi commerciali e dalle coste un’altra montagna di spazzatura giunge al mare.
Ci sono poi dei contesti nei quali nulla potrebbero fare i nostri volenterosi pescatori; per esempio, non sono disponibili allo strascico italiano attuale tutti quei rifiuti che si accumulano sui fondali accidentati (quindi non strascicabili), al di sotto delle massime profondità usualmente frequentate (ca 750m) o giacenti entro le Aree Marine Protette o le Zone di Restrizione alla Pesca, tipo entro le 3 miglia della costa (o i 50 m di profondità) essendo questa aree interdette allo strascico secondo le vigenti normative.
Un altro contesto critico riguarda il caso delle grandi strascicanti che trascorrono in mare settimane o addirittura mesi prima di ritornare in porto. Ovviamente, qualunque norma dovrebbe tenere in conto l’impossibilità per queste unità da pesca di stivare a bordo la spazzatura di settimane o mesi.
Che fare allora?
A parte l’ovvia considerazione che sarebbe meglio cercare di limitare a monte la produzione ed il rilascio incontrollato in mare dei rifiuti o cercare di utilizzare materiali biodegradabili (come si è fatto con i sacchetti della spesa e si sta cercando di fare con le mazzare dei FAD), è il caso di affidarci, come sempre, alla saggezza popolare richiamando un famoso proverbio di un anonimo siciliano: “Ogni ficutu di musca è sustanza” (“Ogni fegatino di mosca fa sostanza”).
Quindi, incentivare i pescatori a catturare, trattenere a bordo e sbarcare parte dei rifiuti marini, cioè il fishing for litter, è un’iniziativa lodevole e degna di attenzione purché si tenga conto delle problematiche precedentemente evidenziate. Un possibile scenario potrebbe prevedere i seguenti passi essenziali:
- 1) limitare i rifiuti “sbarcabili” solo alle plastiche (differenti dalle reti fantasma);
- 2) individuare dei siti di dumping a mare dove i pescatori potranno rigettare, ove contigui alle zone di pesca, gli altri rifiuti (tipo i bidoni di metallo o le mazzare o le reti fantasma di cui prima);
- 3) cercare un metodo per premiare finanziariamente i pescatori collegato alla loro stessa attività di operatori ecologici, per esempio, trasformando le plastiche sbarcate in carburanti per le stesse barche da pesca come lodevolmente ha provato a fare un recente programma di ricerca (marGnet).
Questi siti di dumping per i rifiuti non sbarcabili, ovviamente da interdire alla pesca a strascico, vanno visti non solo come soluzione per ridurre la ricattura ciclica dei rifiuti, e corrispondente ulteriore rigetto in mare e dispersione sui fondali (magari anche quelli poco o non interessati dal fenomeno), ma come nuclei di barriere artificiali, certamente sui generis, ma che potrebbero rappresentare rifugi e luoghi di deposizione protetti per molti organismi marini.
Bibliografia essenziale e fonti iconografiche