Ad alcuni dei lettori di Pesceinrete, magari un più giovani di chi scrive questa nota, la parola “Paranza” potrebbe far pensare all’omonima allegra ed ironica canzone che Daniele Silvestri presentò al Festival di Sanremo del 2007, poi diventata un tormentone estivo. Di contro, a molti ghiottoni di prodotti del mare, il termine richiamerebbe la deliziosa frittura mista di pesce minuto offerta nei menù di molte trattorie. Per memoria storica, preferire i piccoli pesci perché più digeribili e gustosi era un suggerimento di Galeno di Pergamo (I – II secolo ante era volgare). Dal punto di vista scientifico, per i ricercatori che studiano la pesca marittima, la Paranza è un termine popolare (colloquiale) che indica i primi pescherecci in legno a strascico (sia di fondo che pelagico) tipici del Mediterraneo poi evolutisi nei moderni motopescherecci per lo strascico di fondo in ferro.
Tuttavia, esiste un’altra categoria di persone per la quale il binomio “paranza / strascico” induce visioni apocalittiche di fondali marini stravolti e stragi indiscriminate di organismi vegetali ed animali che sul fondo o in prossimità del fondo vivono.
Per esempio, la fondazione Oceana (https://europe.oceana.org/en/home), con uffici sparsi in tutto il mondo, sostiene in vari documenti affermazioni sulla pesca a strascico che si possono sintetizzare in “la pesca a strascico è uno dei metodi più distruttivi per catturare il pesce”, “il suo uso provoca un alto impatto sugli ecosistemi marini, spesso causando danni irreversibili ad habitat sensibili”, “le reti a strascico sono così distruttive e non selezionanti perché cancellano efficacemente tutto ciò che vive sul fondo del mare”.
A parte che solo in alcune situazioni il danno causato dallo strascico di fondo (di seguito semplicemente strascico) può essere ritenuto effettivamente “permanente”, nel senso di non essere recuperabile in tempi storici, come è il caso delle praterie di Posidonia oceanica (che però sono protette in Italia sin dagli anni 60 del secolo scorso), è ammirevole e sacrosanta la crescente attenzione verso la protezione degli ecosistemi marini, sempre più in sofferenza (per verità, non solo a causa della pesca), e cercare di fare il possibile per mitigare, in generale, gli effetti delle attività antropiche sul mare.
Però è anche vero che non bisogna mai dimenticare la saggezza popolare che, fra altro, ci suggerisce la massima
“Ci voli ‘u ventu in chiesa, ma no ‘a astutari i cannili!”
traducibile in “ci vuole il ricambio di aria nelle chiese, ma non tale da far spegnere i ceri votivi”.
Infatti, sull’onda emotiva che vede lo strascico come il nulla che avanza, sempre più voci (non solo fra gli specialisti, ma anche fra gli appassionati del mare) chiedono misure sempre più restrittive per la pesca a strascico, arrivando addirittura a proporre il divieto permanete di questa attività.
È condivisibile questa proposta estrema finalizzata a cancellare un’attività culturale e produttiva secolare?
Per rispondere nel modo più possibile sintetico, occorre fare un minimo excursus sulla materia.
In primo luogo, per precisione storica va ricordato che paranze venivano chiamate le grosse barche a vela usate, spesso a coppia, prima della motorizzazione per la pesca a traino nei mari italiani. In effetti, occorre precisare che per pesca a strascico in questa sede si intende l’attività di sfruttamento delle risorse viventi e selvatiche del mare condotta trainando un attrezzo da pesca sul fondale. Oltre il peschereccio, lo strascico è tipicamente composto da una rete a forma di grande sacco allungato e rastremato alla fine (dove c’è il “sacco”), collegata tramite una coppia di “calamenti” a due pannelli (divergenti o portelloni) che garantiscono l’apertura della bocca della rete, a loro volta uniti all’imbarcazione tramite lunghi cavi di acciaio (Figura 1).
Come dice chiaramente il nome e come si vede dalla Figura 1, lo strascico viene calato e trainato in modo da garantire uno stretto contatto della rete con il fondale che viene “grattato” dalla parte inferiore della bocca della rete (detta cima dei piombi perché appesantita da piombi o anche pezzi di catena). La rete deve solleticare il fondo al fine di far venire fuori gli organismi nascosti nel sedimento (come i gamberi bianchi o rosa, le tracine o il pesce prete) e catturarli insieme a quelli che la rete incontra poggiati sul fondo (tipo gli scorfani o le rane pescatrici) o che nuotano in prossimità dello stesso (come i gamberoni rossi, le triglie o i naselli).
Purtroppo, il tipico strascico mediterraneo è di bocca buona e tende a raschiare ed inglobare tutto ciò che incontra nel suo percorso e quanto ingoiato della rete ha poche possibilità di sfuggire dal sacco perché questo rappresenta la porzione della rete con le maglie più piccole (oggi di 40 / 50 mm di apertura “stirata”, ma sino al 201030/ 40 mm). Anche se qualcosa riuscisse a sfuggire (come i piccoli dei gamberi o delle triglie), lo stress della cattura conseguente al fatto stesso di essere stato strappato dal proprio habitat naturale ed inglobato nel sacco per ore, rappresenta morte probabile per molti organismi marini sia vegetali (come Posidonia oceanica) che animali (come molti delicati invertebrati come i vari tipi di gorgonie e simili; Figura 2 a-c).
Allora vedi che lo strascico è dannoso ed è giusto chiuderlo per difendere il mare?
In effetti, è molto suggestiva l’idea che, eliminando lo strascico, si possa migliorare di molto lo stato delle biocenosi marine di fondo, anche perché oggettivamente l’asserzione è indubbiamente vera, così come è vera l’asserzione che le praterie e le foreste (e relative biocenosi naturali) trarrebbero giovamento dall’abolizione dei trattori che arano i suoli o della pratica di incendiare gli alberi per creare temporanei suoli da coltivare.
Sorvolando sulle analogie con le attività antropiche subaeree, prima di portare in discarica le reti a strascico forse sarebbe opportuno fare alcune precisazioni in primis sul contesto e poi su quali sarebbero gli effetti dell’abolizione “senza sé e senza ma” dello strascico.
Dato che lo spazio è tiranno e seguendo il parere di chi sostiene che se una misura gestionale è appropriata e valida, un paese la deve adottare unilateralmente ed indipendentemente da accordi con altri paesi competitori (nello specifico, ci si riferiva alla demolizione unilaterale di centinaia di pescherecci a strascico italiani), in questa sede ci limiteremo a considerare solo il caso dell’Italia.
In primo luogo va ricordato che la pesca a strascico operata dai paesi membri dell’Unione Europea nel Mediterraneo, non solo è stata fortemente ridimensionata negli ultimi anni, ma è già fortemente regolamentata. Per esempio, non si può strascicare sui fondali costieri (entro le 3 miglia o i 50m), nelle aree marine protette a diverso titolo e al di sotto dei 1000m. Inoltre, buona parte dei fondali italiani si proteggono da sé medesimi a causa delle cd “afferrature”, cioè gli ostacoli sia naturali (scogli, canyons, formazioni di balani etc.) sia causati dall’uomo (tipo le centinaia di relitti di navi o le migliaia di pietre di ancoraggio dei Kannizzi o FAD) che i pescatori esperti evitano perché rappresentano sicura perdita delle reti e cospicuo danno economico.
La seconda cosa da evidenziare riguarda alcuni aspetti poco “attenzionati” da parte dei fautori della soppressione; mi riferisco a cosa accadrebbe il giorno dopo che si fosse riusciti a convincere il parlamento a pubblicare sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica che l’Italia è diventata il primo paese del Mediterraneo a non praticare più la pesca a strascico per salvaguardare le biocenosi del fondo.
Il primo aspetto concerne il fatto che la legge di cui prima dovrebbe essere accompagnata dalla contemporanea istituzione di più ampie zone di pesca esclusive (ZEE) italiane; in caso contrario, gli unici fondali che beneficerebbero del “No – strascico” sarebbero quelli entro le 12 miglia dalle coste nazionali. In altre parole, senza le ZEE, tutti i fondi di pesca italiani al di fuori di questo limite continuerebbero ad essere frequentabili dagli strascichi “foranei”, ergo le biocenosi fuori le 12 miglia rischierebbero di godere di un minimo respiro di sollievo.
Ma non è solo questo il problema!
Infatti, c’è un secondo aspetto critico da analizzare prima di chiudere lo strascico ed è riassunto nella Tabella 1.
Tabella 1 – Il comparto strascico italiano in cifre (% del complessivo) in confronto con la pesca Mediterranea italiana nel 2019. Da Anonimo (2019).
Componente flotta | Battelli | Stazza (ton.) | Potenza motori kW | Produzione (t) | Ricavi (milioni di euro) |
Complessiva | 11 975 | 139 442 | 916 080 | 176 738 | 891.7 |
Strascico di fondo e rapido | 17.4% | 58.8% | 46.2% | 37% | 54% |
Anche analizzando la Tabella 1 a volo di gabbiano, l’abolizione tout court dello strascico (e del rapido perché sono messi insieme) eliminerebbe dalla flotta peschereccia italiana mediterranea quasi 1/5 dei battelli, più di 1/3 del tonnellaggio, quasi la metà della potenza motore, più di ¼ della produzione e, dulcis in fundo, più della metà degli introiti economici.
Sorvolando sulle drammatiche ricadute sull’occupazione (equipaggi a casa) e sull’indotto (per esempio, i cantieri e le officine metalmeccaniche) c’è anche da evidenziare che i ghiottoni italiani di pesci, dall’oggi al domani, non troverebbero sui banconi dei mercati ben 66 244 tonnellate di prodotti ittici marini.
E non si tratta di un mero problema quantitativo, perché, come forse non sanno molti dei fautori della soppressione, alcune specie, come gli scampi o i gamberoni rossi, sono prodotti quasi esclusivamente dallo strascico. Più in particolare, scorrendo le specie top dal punto di vista di quantità catturate (in t) e valore economico (come % del totale pesca marittima), sempre nel 2019, troviamo: 9011 t / 6.94% per il gambero rosa (Parapenaeus longirostris), 7040 t / 5.53% per il nasello (Merluccius merluccius), 3813 t / 3.81% per il polpo maiolino o comune (Octopus vulgaris) e 2246 t / 5.96% per il gamberone rosso (Aristaeomorpha foliacea).
Sempre rimanendo nel generale, per esigenze di sintesi, buona parte (per es. polpo maiolino) e la quasi totalità (gamberoni rossi) delle migliaia di tonnellate di specie pregiate scomparirebbero sia dai punti di sbarco che (momentaneamente) dai mercati ittici italiani.
Perché i gamberoni rossi scomparirebbero solo momentaneamente dai mercati ittici italiani?
Per la semplice ragione che, a meno che i consumatori smettano di mangiarli, i commercianti italiani saranno costretti a procacciarsi le mancate catture dall’estero e quindi oltre il danno (quasi azzeramento della cattura nazionale) anche la beffa; non solo aumenterebbe il disavanzo del bilancio ittico nazionale, ma le flotte dei paesi foranei, contigui all’Italia e che non hanno (molto probabilmente) aderito al blocco (per esempio la Tunisia), sarebbero fortemente indotti ad aumentare la loro attività di pesca a strascico per soddisfare le nuove richieste portando le loro navi al limite delle 12 miglia dalle coste italiane.
Adesso, so già quale pensiero sta attraversando la mente dei lettori di pesceinrete!
Perché non incrementare altre tipologia di sfruttamento meno impattanti e più “sostenibili”?
Altri tipi di attrezzi da pesca, tipicamente utilizzati dalla cd pesca artigianale, potrebbe sopperire, almeno in parte, al crollo delle catture tipicamente prodotte dallo strascico. In effetti ci sono almeno due casi famosi nei quale la chiusura totale dello strascico ha determinato un notevole incremento delle risorse demersali. Stiamo parlando del Golfo di Castellammare e del Golfo di Patti (entrambi in Sicilia) dove le biocenosi della piattaforma continentale (entro i 200 – 300m) non sono state più stressate dallo strascico (tranne qualche peschereccio bracconiere che ha violato il divieto) né italiano né di altri paesi trattandosi di acque territoriali. Il blocco, attivato nel 1990, come già detto, ha funzionato bene come suggeriscono le Figure 3 a,b.
A parte l’oscillazione marcata nel Golfo di Patti, l’aumento è considerevole: circa 4 volte rispetto ai valori precedenti la chiusura in entrambi i Golfi.
Tutto bene quindi?
Non proprio, perché le figure di cui prima si riferiscono all’aumento degli stock in mare che non necessariamente si traducono in equivalenti incrementi delle catture commerciali (Figura 4).
Come ben noto a chiunque abbia tentato di fare il pescatore, tramutare il “pesce in fondo del mare” in “pesce nella padella” non è così facile come potrebbe apparire e, comunque, la pesca artigianale ben poco potrebbe fare per colmare i buchi di prodotti come i gamberoni rossi o gli scampi. La confusione che spesso nasce nel guardare i grafici precedenti riflette un problema terminologico già evidenziato da Confucio: nello specifico, distinguere tra abbondanza in mare e cattura, e tra dati commerciali (catture per unità di sforzo) e dati sperimentali (campioni su un disegno statistico).
Se vi state chiedendo perché è fuorviante confondere i dati, provate ad immaginarvi a calare delle nasse o delle reti da posta fra 400 e 700 m di fondo da una barchetta localizzata a decine di miglia dalla costa più vicina. È vero che i gamberoni a 600m saranno più abbondanti, adesso che lo strascico è abolito (dati sperimentali), ma la cattura per unità di sforzo (cioè i gamberi nella singola nassa o impigliati nella singola rete) sarebbero di gran lunga inferiori alle catture realizzate dallo strascico in una singola cala (di solito della durata di parecchie ore negli alti fondali).
In sintesi, senza strascico in assoluto, il mare brulicherebbe di gamberoni rossi, ma una cena a base di questi gamberi vi costerebbe più del mitico pranzo a base di perle offerto da Cleopatra ad Antonio.
Che fare allora?
Se sono riuscito a convincere i lettori di pesceinrete sui disastri che deriverebbero da una chiusura totale dello strascico, in primo luogo, vanno aumentati i controlli e fare rispettare le normative vigenti, spesso violate da una minoranza di pescatori scriteriati. In particolare, come recentemente discusso, si può ipotizzare anche un allargamento della fascia costiera interdetta allo strascico dagli attuali 50m (o 3 miglia) a 100m (o 6 miglia, ove possibile), magari collocando dei relitti di navi come deterrenti alle attività illegali.
In secondo luogo, è necessario proseguire con cautela ed attenzione gli studi di tecnologia della pesca per rendere le reti a strascico meno impattanti sui fondali; per esempio, progettando reti più “leggere”, con meno contatto con il substrato, e divergenti che si mantengono lontani dal fondo; Figura 5).
Ma perché ho usato “cautela ed attenzione” parlando di tecnologia della pesca?
Vi ricordate le zone grigie già evidenziate in Figura 1?
Orbene, quando i divergenti di una rete a strascico incidono i fondali sabbio – fangosi, sollevano delle grandi nubi di sedimento che tendono a concentrare pesci e gamberi davanti alla bocca della rete. In altre parole, le nuvole di sedimento aumentano la capacità di cattura (si dice performance) della rete concentrando le possibili catture sia per un effetto detto di “ingreggiamento”, in gergo “herding effect” (che vale, per esempio, per i naselli) sia per un’attiva attrazione; in particolare, i gamberoni rossi si precipitano dai fondali contigui nella nube di sedimenti sovrastante il percorso della rete perché, in questo modo, cacciano con più facilità le loro prede. Tradotto, bisognerà valutare bene le variazioni dei rendimenti causati dai nuovi divergenti certamente meno impattanti, ma forse molto meno performanti nella cattura di alcune specie.
Infine, va riconsiderato come distribuire le attività delle strascicanti nello spazio. Tendenzialmente si possono individuare tre scuole di pensiero per organizzare una data flotta a strascico in una data area di pesca:
- una, più radicale, suggerisce di chiudere allo strascico la maggior parte dell’area con conseguente necessaria forte riduzione delle flotte (e delle catture);
- una, meno radicale, suggerisce di istituire un complesso network fatto da tante piccole zone precluse allo strascico sparpagliate nell’area;
- una terza suggerisce di individuare, in accordo con i pescatori, ampi percorsi dove strascicare, una specie di autostrade del mare (Trawl lanes secondo Dimech et al., 2012), intervallati da altrettante ampie zone limitrofe interdette allo strascico; queste aree interdette sarebbero ad esclusiva disposizione di altri attrezzi da pesca stazionari come le reti da posta, i palangari, le nasse e i kannizzi o FAD, cosa che ridurrebbe i conflitti fra i diversi utilizzatori.
È pacifico che, se potessimo ascoltare il parere degli organismi bentonici uccisi dallo strascico senza alcun costrutto, come le pennatule o le isidelle (al momento rigettati morti in mare dopo la cattura), loro sceglierebbero il blocco assoluto dello strascico o il primo scenario, ma noi dobbiamo anche porci il dilemma se lasciare un chilo di isidella in mare vale bene un chilo di gamberoni rossi sul mercato.
Nulla di male a scegliere “Isidella first”, ma in questo caso sarebbe giusto che tutti gli interessati (i cd stakeholder) fossero ben informati delle conseguenze immediate e future sull’economia che scaturirebbero da un blocco parziale o totale delle paranze come intese in questo documento.
Bibliografia essenziale e fonti iconografiche
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Dimech Mark, M.J. Kaiser, S. Ragonese & P.J. Schembri (2012) Ecosystem effects of fishing on the continental slope in the Central Mediterranean Sea. Mar Ecol Prog Ser Vol. 449: 41–54. doi: 10.3354/meps09475
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Sala Antonello (ed.) (2013) Technical specifications of Mediterranean trawl gears (myGears). Final project report. Specific project Nr. 5 – Framework service contract Mediterranean halieutic Resources Evaluation and Advice (MAREA): 269 pp.
Il S. Anna in prima pagina è tratta dall’archivio della sede CNR di Mazara.
La foto della penna di mare è presa da Turano F. & G. Neto (2001) Sott’acqua in Mediterraneo – Flora e fauna degli ambienti sommersi. SSI, Italia, 245 pp.
La foto della Funiculina quadrangularis e della Isidella elongata è stata presa da internet