Come molti settori dell’economia italiana, anche l’acquacoltura ha subìto un rallentamento dovuto all’emergenza sanitaria legata alla pandemia in atto. Il lockdown con la conseguente chiusura dei ristoranti ha infatti modificato le abitudini e le attitudini dei consumatori italiani verso i prodotti ittici di allevamento. Secondo un recentissimo studio pubblicato dalla rivista scientifica internazionale “Journal of Aquatic Food Product Technology dal titolo Consumer Preferences for Farmed Seafood: An Italian Case Study” (“Preferenze dei consumatori per il pesce d’allevamento: un caso di studio italiano”) è emerso, infatti, che prima dell’emergenza sanitaria, gli italiani preferivano mangiare i prodotti dell’acquacoltura a casa (73%), ma almeno una volta al mese più di un quarto degli intervistati li consumava all’esterno: ristoranti di pesce (46%), taverne (32%) seguiti da ristoranti asiatici di sushi (25%).
“Oggi, però, da un giorno all’altro, nonostante le aziende di acquacoltura abbiano continuato a lavorare, rifornendo di prodotti freschi la grande distribuzione – ha spiegato Fabrizio Capoccioni, ricercatore del Crea Zootecnia e Acquacoltura, fra gli autori dello studio – sono venuti meno molti sbocchi di mercato, come le mense pubbliche e aziendali e soprattutto la ristorazione. Di questo ne hanno risentito in particolare gli allevamenti di molluschi, cioè mitili, vongole e ostriche, che rappresentano il settore produttivo più importante per volumi in Italia. Ciò ha comportato che un gran quantitativo di prodotto adatto alla vendita è rimasto in acqua invenduto”.