Dal lontano 1995 in Italia la pesca dei molluschi bivalvi viene gestita e tutelata dai Consorzi di Gestione, costituiti da imprese di pesca autorizzate alla cattura, che operano nel compartimento marittimo di riferimento. Questi, attenendosi alla normativa unionale e nazionale, agiscono mettendo a punto dei piani di gestione locali con regole che si attengono comunque ai fermi pesca obbligatori e ai fermi biologici volontari, e stabilendo luoghi, tempi e quantitativi precisi di prelievo della risorsa.
A causa di caratteristiche peculiari, i molluschi bivalvi sono dei potenziali serbatoi di agenti patogeni: ecco dunque la necessità di una tutela che deve essere assicurata anche ai consumatori e non soltanto alla risorsa. Per tali motivi i Consorzi hanno necessità di appoggiarsi a enti di ricerca che attraverso supporti scientifici forniscono elementi utili che permettono un monitoraggio continuo dello “stato della risorsa” ma anche della qualità e della genuinità delle acque e del pescato.
La gestione consortile e compartimentale della pesca dei molluschi bivalvi passa attraverso specifiche autorizzazioni rilasciate dal Mipaaft che rappresenta dunque anche l’anello di congiunzione con l’UE.
Con il passare del tempo l’istituzione dei Consorzi si è rivelata una realtà positiva in tutto il territorio nazionale anche se non sono mancati momenti di crisi originati dalla difficoltà di adattare le regole imposte dalla Comunità Europea alla disomogenea e variegata realtà costiera italiana. In sostanza, a fronte e nel rispetto di parametri generali imposti dall’Europa, anche noi, come Associazione, riteniamo che sia necessario mettere a punto regole che tengano conto delle specifiche caratteristiche biologiche, climatiche, morfologiche, ambientali dei nostri mari.
Consideriamo i Consorzi di Gestione strumenti validi per questo segmento della pesca in quanto permettono una gestione razionale ed efficace della risorsa; essi risultano importanti anche per il loro ruolo di mediazione tra l’amministrazione centrale e gli operatori locali. Sono strutture dunque che vanno conservate e che devono essere messe nelle condizioni di poter lavorare serenamente attraverso provvedimenti che rendano più proficua e redditizia l’attività dei pescatori.
Un problema da non sottovalutare è quello della salubrità delle acque: molti specchi d’acqua risultano eccessivamente inquinati e dunque inadatti al prelievo della risorsa. Un modo per ovviare al problema sarebbe quello di concedere di pescare in nuovi areali e ampliare la pesca sperimentale.
Un’altra nota dolente è rappresentata dai punti di sbarco: mentre in alcuni compartimenti si è organizzatissimi, in altri ci sono delle carenze che potrebbero essere colmate se si rendessero più snelle le procedure burocratiche per ottenere i permessi ad operare.
Un tema particolarmente caro alla Comunità Europea è quello delle aree di restocking: l’Unione infatti è irremovibile nell’esigere una chiara definizione di queste aree destinate al rigetto e quindi al ripopolamento della risorsa.
Per quanto riguarda il quadro normativo unionale, un punto che è oggetto di discussione continua in Italia è quello che riguarda l’osservanza della distanza minima dalla costa: i molluschi bivalvi infatti possono essere prelevati oltre le 0,3 miglia dalla costa. Alcuni compartimenti, dietro presentazione di apposito supporto scientifico, hanno ottenuto una deroga a tale norma. Una deroga che molto probabilmente dovrebbe essere estesa a tutti i compartimenti data la lamentata scarsità della risorsa oltre la soglia delle 0,3 miglia sia sull’Adriatico sia sul Tirreno.
UNCI Agroalimentare è in parte d’accordo con l’Autorità Centrale che pretende l’osservanza delle regole imposte dalla Comunità Europea ma, rimane innegabile il fatto che certe regole vanno riviste e adattate alle specificità costiere italiane. Tutti i nostri pescatori hanno diritto alle stesse opportunità ed è il Ministero che può lavorare in questo senso presso l’Unione Europea.