La pesca sarda è minacciata da un nemico piumato che, piombando dall’alto, fa man bassa dei pesci destinati alle reti dei pescatori. Questo temibile rivale è il Phalacrocorax carbo, meglio conosciuto come cormorano, volatile di grandi dimensioni che si nutre di pesce, capace di immergersi in acqua fino ai 6 metri di profondità.
La questione cormorani si era già presentata lo scorso 2014 nelle vallate cuneesi, ma nelle zone di Oristano il problema è particolarmente sentito, specialmente nell’ultimo periodo, quando il settore ittico locale ha subito un forte colpo proprio a causa di questi abili predatori. I danni, infatti, si stimerebbero attorno ai 2 miliardi e mezzo di euro.
Coldiretti interviene in merito alla questione sottolineando l’esponenziale crescita dei cormorani, che negli ultimi otto anni sono aumentati dell’86%, passati in termini numerici da 8mila a 15mila.
E’ una vera e propria guerra quella che si combattono pescatori e cormorani per accaparrarsi il pescato.
Una guerra che fino a questo momento vede il vantaggio dei volatili, poiché i marinai non hanno armi a disposizione. “Finché non ci daranno il permesso di imbracciare i fucili – dicono – non potremo far nulla per combattere gli assalti dall’alto”.
Negli stagni dell’Oristanese, i pescatori si sono organizzati in due turni: alcuni buttano le reti in acqua, altri inseguono i cormorani. “Stiamo solo sprecando carburante, perché loro non si arrendono. Sono tantissimi e non ci lasciano niente”.
Mentre gli operai della filiera ittica attaccano i cormorani, c’è anche chi li difende. Tra questi la Lipu, lega per la protezione degli uccelli, che ha definito l’approccio alla questione del tutto “umanocentrico”, evidenziando la possibilità di agire in merito applicando migliori forme gestionali che siano attente al versante ambientale della vicenda. Il responsabile del “Gruppo di intervento giuridico”, Stefano Deliperi, aggiunge che “al momento non sono disponibili dati scientifici, ma secondo alcuni censimenti, i cormorani presenti in Sardegna per svernare sono tra i 12 e i 18 mila. Altre ricerche dicono però che questi tendono a cibarsi di pesci di piccole dimensioni, cioè non commerciabili. Inutile, quindi, addossare agli uccelli le responsabilità che derivano dalla cattiva gestione del comparto ittico”