Prezzo del carburante troppo elevato, scarsa tutela delle pensioni, fermo pesca troppo restrittivo. Queste le ragioni per cui da più di un mese i pescatori tunisini sono scesi in piazza con l’intenzione di abbandonare il Paese e spostare le proprie attività in Italia se non verranno rispettati i loro diritti. Dopo oltre sessanta giorni la situazione non sembra migliorare. Infatti, solo questa settimana sono iniziate le trattative ma la protesta dilaga e imperversa ancora con i pescatori che bloccano i porti con autentiche barricate e i cantieri navali in stop a Mahdia, Sfax, Chebba, Monastir e Tebolba. Lo scenario è drasticamente danneggiato dalle cattive condizioni delle esportazioni di pesce pregiato e un tasso di disoccupazione altissimo. Stando a quanto dichiarato dai pescatori, che proprio stamattina hanno lanciato l’ultimatum al governo, già nelle prossime ora alcuni pescherecci potrebbero lasciare i porti tunisini alla volta della Sicilia e, nella fattispecie, di Lampedusa. “Non chiediamo asilo – dicono gli operatori del settore in protesta – ma condizioni migliori di lavoro. L’Europa ci aiuti.”