Serve a pescare i “bibi” (una specie di vermi di mare) e, quindi, si chiama “bibara”. Ma, a dispetto dello slang chioggiotto che la definisce, la bibara è un’innovazione tecnologica di una certa importanza, con potenziali importanti riflessi economici e sociali. A “inventarsi” il nuovo attrezzo da pesca sono stati i vongolari del Cogevo di Chioggia, che hanno modificato la più tradizionale turbosoffiante (che serve a raccogliere vongole e fasolari) in modo da renderla “altamente selettiva” e consentire la raccolta, mediante il passaggio in appositi condotti dal diametro prefissato, dei soli bibi e non di altre specie ittiche. Il tutto grazie al sostegno economico del Gac, che ha erogato un contributo di 38.650 euro, e a quello scientifico dell’Università di Trieste. «Finora lo abbiamo usato a titolo sperimentale», spiega Michele Boscolo Marchi, presidente del Cogevo, «a fine anno terminerà la sperimentazione e ci auguriamo che il Ministero ne autorizzi definitivamente l’impiego, mediante apposita licenza».
L’importanza del nuovo attrezzo sta nel fatto che permette di definire un tipo di pesca che, finora, era stato marginale e praticato con mezzi inadatti. I bibi, infatti, hanno un mercato potenziale interessante, servendo come esche per la pesca sportiva e un prezzo, sui 7-8 euro al chilo, praticamente doppio rispetto alle vongole di mare. «Per noi», prosegue Marchi, «si tratta di una pesca alternativa che permette di impiegare alcune barche, alleggerendo
la pressione sulle risorse più tradizionali, vongole e fasolari. In questo modo possiamo gestire i nostri prodotti con maggiore elasticità e garantire un reddito migliore agli operatori anche in caso di fermi biologici prolungati come, talvolta, siamo costretti a fare».
Fonte La Nuova di Venezia e Mestre