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Home Sostenibilità

Resistenza antimicrobica. Un rapporto della FAO esamina i rischi nella produzione zootecnica

Mariella Ballatore by Mariella Ballatore
5 Novembre 2018
in Sostenibilità
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I riscontri sempre più frequenti che i sistemi alimentari possono essere i principali canali della resistenza antimicrobica (AMR, l’acronimo inglese) sottolineano la necessità di una maggiore vigilanza sul modo in cui gli antibiotici sono usati nelle aziende agricole.

La resistenza antimicrobica è stata descritta la prima volta nel 1940, ma la comprensione scientifica della miriade di vie attraverso le quali emerge e si diffonde è ancora agli albori. L’uso a livello globale di prodotti di sintesi per uccidere indiscriminatamente batteri, virus, parassiti e funghi nei sistemi agricoli e alimentari richiede uno sforzo concertato per mappare, comprendere e mitigare i rischi di AMR, secondo il rapporto Drivers, Dynamics and Epidemiology of Antimicrobial Resistance in Animal Production. (Fattori, Dinamica ed Epidemiologia della resistenza antimicrobica nella produzione animale, N.d.T.).

La resistenza antimicrobica può essere un processo genomico naturale per i batteri, ma è stata “molto rara in isolati clinici anteriori all’introduzione degli antibiotici” osserva il nuovo rapporto della FAO. Poiché gli alimenti provenienti da tutto il mondo sono oggi spesso contaminati con antibiotici resistenti, E. coli e Salmonella, “le misure che incoraggiano l’uso prudente di antimicrobici possono essere estremamente utili nel ridurre la comparsa e la diffusione dell’AMR”, si legge a pagine 67 della relazione tecnica.

Il rapporto, lanciato nel corso della Settimana Mondiale di sensibilizzazione sugli antibiotici – un’iniziativa congiunta della FAO, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’Organizzazione mondiale per la Salute Animale (OIE) per aumentare la consapevolezza di una delle più grandi minacce per la salute – riassume la portata dell’AMR in particolare nel settore zootecnico e alimentare, che si prevede rappresenterà due terzi della crescita futura nell’uso di antimicrobici.

Le principali raccomandazioni che emergono dal rapporto sono la necessità di incrementare la ricerca – che implica sia il sequenziamento molecolare che l’analisi epidemiologica – su come e perché i batteri resistenti vengono incorporati nei microbiomi intestinali umani e animali, nonché la necessità di creare procedure di monitoraggio e database standardizzati in modo che si possano costruire adeguati modelli di valutazione del rischio.

Secondo il rapporto l’uso di antimicrobici esclusivamente per promuovere la crescita degli animali dovrebbe essere gradualmente eliminato. Invece, dovrebbero essere perseguite con maggiore determinazione alternative agli antibiotici per migliorare la salute degli animali – compresi migliori programmi di vaccinazione. Il rapporto raccomanda di monitorare i residui antimicrobici, come pure quelli di altre sostanze pericolose, nell’ambiente, in particolare nelle risorse idriche.

“Data la nostra attuale limitata conoscenza delle vie di trasmissione, le opzioni per mitigare la diffusione a livello mondiale dell’ AMR implicano il controllo della sua comparsa in vari ambienti, riducendo al minimo le possibilità che l’AMR si diffonda lungo quelle che possono essere le vie più importanti”, dice il rapporto.

Quello che stiamo imparando

Mentre rimangono piuttosto cauti su quanto resta ancora da sapere, gli autori – ricercatori del Royal Veterinary College di Londra ed esperti della FAO guidati da Juan Lubroth – evidenziano la prova certa della portata della minaccia.

Per esempio, le api degli Stati Uniti hanno batteri intestinali che non si trovano altrove, elemento che riflette l’uso diffuso della tetraciclina negli alveari americani sin dal 1950. Gli allevamenti ittici del Mar Baltico mostrano meno geni di AMR rispetto ai sistemi di acquacoltura cinesi, che invece sono ora serbatoi di geni che codificano la resistenza ai chinoloni – un importante farmaco umano il cui utilizzo è cresciuto a causa della crescente resistenza ad antibiotici più antichi come la tetraciclina.

La recente individuazione di resistenza alla colistina, un antibiotico fino a poco tempo fa considerato un’ultima spiaggia nella medicina umana, in diversi paesi sottolinea anche la necessità di esaminare le pratiche di allevamento, poiché il farmaco è stato utilizzato per decenni nei suini, nel pollame, negli ovini, nei bovini e negli allevamenti ittici.

Valutare le opzioni di mitigazione

Il rapporto si concentra sul bestiame perché la futura domanda di proteine di origine animale è destinata ad accelerare le operazioni intensive – dove gli animali a stretto contatto moltiplicano il potenziale di incidenza di patogeni AMR. Il pollame, la fonte primaria di proteine animali al mondo, seguito dalla carne di maiale, sono importanti veicoli alimentari di trasmissione dell’AMR agli esseri umani. Casi in Tanzania e Pakistan hanno dimostrano anche il rischio di AMR proveniente da sistemi di acquacoltura integrati che utilizzano rifiuti agricoli e di pollame come cibo per pesci.

Il mantenimento di livelli alti di bio-sicurezza può ridurre l’impiego di antimicrobici, riducendo così anche il rischio dell’emergere di resistenze. Analogamente, la prevenzione della contaminazione alimentare e la rimozione dei batteri dalla catena alimentare può essere molto efficace nel ridurre la trasmissione dell’AMR. Un recente studio sugli allevamenti di bestiame in Nebraska ha trovato ceppi di E.coli su tutta la pelle degli animali, ma solo lo 0,5% sulle carcasse e nessuno nella carne destinata ai consumatori al dettaglio. Vettori ambientali – tra cui il vento, il suolo, i rifiuti e l’acqua – possono rivelarsi vie di trasmissione dell’AMR più difficili da controllare.

Poiché gli animali metabolizzano solo una piccola parte degli agenti antimicrobici che ingeriscono, la diffusione di antimicrobici da rifiuti animali è motivo di preoccupazione.

È vero che i piccoli allevatori proprietari fanno meno affidamento sugli antimicrobici, ma spesso usano farmaci da banco, senza parere del veterinario. Un dosaggio inappropriato, sub-letale promuove la variabilità genetica e fenotipica tra i batteri esposti che sopravvivono.

Collettivamente, mentre ci sono ancora molte lacune nella nostra comprensione dell’AMR, crescono le prove su una crescente presenza di AMR nei sistemi alimentari che evidenzia la necessità di un’azione immediata. Lavorando in collaborazione tra tutti i settori e i diversi aspetti della produzione alimentare, dal campo alla tavola, si potrà fornire un contributo essenziale per un approccio integrato alla lotta contro l’AMR.

 

Tags: acquacolturaFAO
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Co-founder e Direttrice di redazione. Pubblicista dal 2006 racconta il mondo da oltre un trentennio attraverso giornali, televisione e radio. Come conoscitrice del settore pesca e acquacoltura è stata più volte invitata a moderare e relazionare in convegni organizzati tra gli altri dalla Conferenza Episcopale Italiana – Ufficio nazionale dell’Apostolato del Mare, AquaFarm, Blue Sea Land.

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