L’eventuale lettore amante di calcio (oltreché di pesca) non si turbi della la prima parte del titolo di questa nota; non si tratta di un errore di battuta o una storpiatura della celeberrima frase “Squadra che vince, non si cambia!” attribuita all’allenatore Serbo Vujadin Boskov.
La variante nel titolo è nata spontaneamente dopo la lettura del più recente rapporto sulla pesca che l’Italia invia alla Unione Europea (UE) da qualche anno (Anon., 2020, di seguito D20). Il titolo del D20 potrebbe essere tradotto dall’inglese, la lingua più utilizzata dalla scienza che studia la pesca marittima (anche detta Scienza alieutica) in italiano come “Rapporto per il raggiungimento di un bilanciamento sostenibile fra capacità della pesca e opportunità di pesca”. Anche tradotto, il titolo potrebbe apparire ostico per i non addetti ai lavori e appare opportuno un minimo richiamo teorico prima di affrontare i contenuti più rilevanti del D20.
Semplificando al massimo, la teoria della scienza alieutica dice che, dato un insieme di “pesci” (lo stock), localizzato in una data area geografica, da pescare ai fini commerciali utilizzando pescherecci ed attrezzi (la capacità di pesca di una data marineria), ciò che in genere accade può essere descritto da una curva parabolica (Fig. 1).
Fig. 1 – L’evoluzione delle catture (catch nell’asse verticale) di una marineria che sfrutti uno stock presente in una certa area. L’intersezione della parabola a destra con l’asse orizzontale (che indica l’abbondanza dello stock) rappresenta il punto in cui inizia lo sfruttamento. Sustainable e Maintanable yield indicano le diverse possibili catture sostenibili e la cattura massima sostenibile (oggi indicata con la sigla MSY).
L’interpretazione della Fig. 1 è abbastanza semplice. Più si aumenta la capacità ed attività da pesca più aumentano le catture (procedendo lungo l’asse orizzontale da destra verso sinistra), ma solo sino ad un certo massimo (appunto il MSY) che corrisponde ad una mortalità di pesca (F) ideale denominata FMSY.
Se però siamo presi dall’ingordigia e riduciamo ancora più severamente lo stock aumentando ulteriormente la capacità da pesca, quello che accade è che le catture iniziano a diminuire (fase discendente a sinistra della parabola), rendendo non solo antieconomica l’attività (che quindi chiede soccorso allo stato), ma anche mettendo a serio rischio il mantenimento dello stock in mare.
Persistendo nell’accanimento peschereccio, ci si avvicina pericolosamente all’intersezione degli assi e lo stock potrebbe “collassare” da un momento all’altro. È proprio in questa fase di forte declino delle catture a fronte di flotte imponenti, ma economicamente sotto stress, che cominciano le pressioni da più parti per ridurre la pesca e proteggere lo stock. Insomma tutto il settore cade in un vortice di sofferenza.
Orbene, la pesca marittima italiana sembra aver toccato il vertice della parabola (MSY) più o meno fra il 1975 ed il 1985, mentre è sprofondata nella crisi più acuta negli anni compresi fra il 1990 ed il 2005.
A questo punto è opportuno provare a sintetizzare, con pochi simboli matematici, i due precedenti stati di sovra pesca (a destra della parabola) e pesca “sostenibile al massimo” (il vertice della parabola).
dove Y, F e B denotano la cattura (in peso), la mortalità dei pesci causata dalla pesca (che è proporzionale alla capacità ed attività da pesca) e la consistenza in peso (Biomassa) dello stock in mare, rispettivamente.
Al lettore attento non sarà sfuggita la diversa dimensione dei simboli con la quale si è voluto manifestare il tipo di intervento che, in genere, si compie quando si vuole risalire la china: ridimensionare la capacità ed attività di pesca corrente (Fc) ad un livello tale (FMSY) che permetta di ottenere il massimo delle catture “sostenibili” (YMSY) mantenendo, nel contempo, uno stock a mare che non rischi il collasso (BMSY).
L’inizio di questa lodevole impresa da parte dell’Italia, si può far risalire dopo il 2005, quando vengono emanati i primi piani di gestione della pesca (PdG) su scala nazionale. I PdG hanno cominciato ad introdurre misure regolative sempre più stringenti e con una progressiva escalation culminata in un grande piano di riduzione delle flotte da pesca il cd. Buy back. Un Buy back consiste nel ritiro e demolizione di pescherecci nel caso italico a spese dello stato (per un costo di centinaia di milioni di euro).
Non è questa la sede per affrontare i vari aspetti dei PdG italiani (il lettore curioso potrà trovare alcuni documenti nella bibliografia essenziale), ma qui è importante sottolineare che l’azione di recupero (recovery) e ricostituzione (rebuilding) degli stock in mare ha avuto inizio almeno 15 anni fa.
Fatta questa debita premessa, andiamo a vedere quali sono i risultati riassunti nel D20, ovviamente operando un’indispensabile sintesi (per esempio, riferendoci solo alla pesca mediterranea e non considerando gli aspetti economici).
La prima cosa che si cercherà di verificare è l’entità della riduzione della capacità da pesca che il D20 ci presenta utilizzando 3 dei più classici descrittori della scienza alieutica (Fig. 2).
Fig. 2 – Andamento relativo (anno base, 100%, 2004) della capacità da pesca italiana in termini di numero di unità da pesca (Numero battelli), tonnellaggio grezzo (GT) e potenza motore (KW).
Specialmente dopo il 2010, il calo è impressionante e lo sfasamento dei punti negli ultimi anni ci dice anche che il ritiro delle unità (Buy back) ha riguardato in proporzione quelle di maggior GT. Dal testo del D20 si evince poi che anche i giorni a mare (il 4° descrittore, ma collegato più all’attività che alla capacità) sono diminuiti (meno 10% solo negli ultimi 2 anni!).
Quindi, a meno di non ipotizzare che le vetuste barche italiane sopravvissute alla sforbiciata abbiano aumentato in modo stratosferico la loro efficienza di cattura (fishing power), tale da vanificare il calo di capacità, possiamo certamente congratularci con gli anonimi autori dei PdG e del D20 per il progresso nell’obbiettivo di ridimensionare la F corrente, cioè
Fc -> -30% -> Fc
Acclarata la lodevole riduzione in Fc, si può andare a vedere cosa è accaduto alle catture che, in base alla Fig. 1 ed alle precedenti espressioni, dovrebbero essere aumentate.
Cosa ci fa vedere, a proposito, il D20? La risposta la troviamo nella seguente Fig. 3.
Fig. 3 – Andamento relativo della cattura (“produzione” nella figura originale e sbarcati nel testo) e del relativo “valore in euro” dalle flottiglie di pesca italiane.
Purtroppo, qui c’è qualcosa che non torna perché, nonostante un certo rimbalzo nel 2014, la cattura sembra rimanere inchiodata a livelli di gran lunga più bassi rispetto all’anno base e tutto ciò a fronte di un ulteriore calo della capacità degli ultimi anni.
Pur prendendo atto che negli ultimi 5 anni la cattura si è stabilizzata intorno a qualcosa di meno del 70% di quella del 2004, forse può essere interessante visualizzare la Fig. 3 in termini assoluti. Purtroppo, questo grafico non c’è nel D20, ma è stato possibile recuperare un omologo del D20 (riferito al 2015) che mostra il profilo di “produzione” in assoluto (Fig. 4).
Fig. 4 – Andamento assoluto in tonnellate (TON) delle catture (probabilmente quella commercializzata, “produzione” nell’originale) dalle flottiglie di pesca italiane dal 2004 al 2014.
Integrando le due figure 3 e 4, si può quindi affermare che dal 2012 le flotte da pesca marittima italiane commercializzano (sbarcano) da 160 a meno di 200 mila tonnellate di pescato; per inciso, il D20 presenta le catture assolute per gli anni 2018 (192256 t) e 2019 (176738 t).
Puntare ad una stabilizzazione intorno alle 200000 tonnellate potrebbe apparire un buon obiettivo, ma guardando l’evoluzione delle catture italiane nelle Fig. 2 e 3 con un occhio un po’ più esperto, la visione ottimistica si scontra con due importanti criticità.
La prima deriva dalla curva a campana in Fig. 1 che, per inciso, è quella adottata anche dalla UE e dai PdG italiani; ripetendo quanto già evidenziato, partendo da uno stato di acuta sofferenza (overfishing, F troppo alto, e overexploitation, stock in mare troppo basso) ciò che si attende diminuendo la capacità / attività (e di conseguenza la mortalità da pesca) è un aumento delle catture verso il punto ritenuto di “bilancio sostenibile”.
Questo punto dovrebbe essere raggiunto dopo un periodo di transizione variabile da pochi a diversi anni dipendendo dal ciclo di vita degli stock più importanti.
La seconda criticità riflette il fatto che, come detto prima, le catture realizzate nel 2004 già riflettevano uno stato di acuta sofferenza delle marinerie e quindi dovevano essere di gran lunga inferiori al punto di massima della parabola.
Detto in altre parole, sarebbe interessante vedere quali fossero i dati di cattura nel momento di massima espansione della pesca italiana (1975 – 1985). Purtroppo, il D20 non esprime in termini quantitativi né quale sia il “bilancio sostenibile” italiano né quali fossero le catture massime; esiste però qualche fonte esterna al D20 che può dare indicazioni in merito (Fig. 5).
Fig. 5 – Evoluzione delle catture (Catch) italiane grezze, cioè includendo anche i rigetti (o scarto), prodotte dal commerciale (artigianale ed industriale), dalla pesca di sussistenza e ricreativa, secondo una ricostruzione statistica retrospettiva. Il pallino bianco indica, invece, la stima non ricostruita ma ottenuta durante il primo esperimento di campionamento delle catture e sforzo di pesca condotto a livello nazionale (PESTAT).
Anche in questo caso, i numeri sull’asse delle ordinate non sono un errore di stampa.
Per quanto oggi possa apparire incredibile ai ricercatori più giovani, almeno per qualche anno, i pescatori italiani sono riusciti a produrre più di 1 milione di tonnellate di pescato. Anche volendo accettare la stima più conservativa di poco più di 500000 t (il puntino bianco), è evidente che si tratta di numeri di gran lunga più alti degli attuali 180000 / 200000 t, anche considerando la presupposta assenza dei dati sullo scarto e della pesca ricreativa.
Evidentemente qualcosa non torna.
Per accendere una minima fiammella chiarificatrice, si riporta di seguito la situazione di uno stock emblematico in una area emblematica: il gambero rosa o bianco (Parapenaeus longirostris) nell’area geografica denominata Sicilia meridionale GSA16 (di seguito G16).
Il gambero è stato scelto perché ritenuto un crostaceo a crescita rapida e con una durata breve del ciclo di vita (ergo con un breve periodo di transizione per ricostituirsi a seguito del calo della pesca). La G16 è stata scelta sia perché ospita importanti marinerie (il D20 ci dice che producono il 12% della cattura nazionale) sia perché una parte della pesca (specialmente quella a strascico) si svolgeva, ed in parte ancora oggi si svolge, in aree diverse dalla G16.
Cosa ci dice il D20 sullo stock della G16?
Ben poco e con alcune sorprese.
La prima è che l’area di riferimento include oltre quella italiana (G16) altre 4 GSA: 3 Tunisine (12, 13 e 14) ed 1 Maltese (15), un’area allargata che include in alcune valutazioni anche la GSA 21 (Libia) e viene spesso definita impropriamente “Stretto di Sicilia” risultando più di 100000 km2 di superficie. Questa unione di GSA implica che il D20 accetti l’ipotesi che le 5 GSA dalla 12 alla 16 ospitino un solo stock di gambero. La seconda sorpresa è presentata in Tab.1.
Tab. 1 – Risultato delle valutazioni come rapporto RF = Fc / FMSY per il gambero rosa, nelle diverse GSA, secondo il D20. L’obbiettivo dei PdG è RF = 1. RF > 1 corrispondono ad uno stato di sovra pesca.
No, non avete letto male! Per le GSA 12 -> 16 non solo non risulta nessun cambiamento del RF nei 3 anni (nemmeno al centesimo!), contrariamente alle altre GSA, ma lo stesso (unico) RF indica che il gambero rosa si trova in sovra pesca.
Ma com’è possibile che non ci sia stato alcun miglioramento nello “Stretto di Sicilia” negli ultimi 3 anni nonostante il continuo calo nella capacità da pesca siciliana e le innumerevoli misure tecniche restrittive?
Certo, si potrebbe pensare che i dati di prima siano una media su 3 anni (espressa in modo non chiaro) e che la situazione fosse di gran lunga peggiore negli anni precedenti al 2016. Per verificare questo assunto, si è proceduto ad integrare la Tab. 1 con i valori presentati per le GSA 12 -> 16 nei precedenti rapporti omologhi al D20 (Tab. 2).
Tab. 2 – Ricostruzione dei rapporti RF = Fc / FMSY, per il gambero rosa, nelle GSA 12 -> 16, secondo i precedenti rapporti omologhi inviati dall’Italia alla UE.
A parte la variabilità nelle stime degli stessi anni nei diversi rapporti, l’impressione è che lo stato del gambero rosa delle GSA 12 -> 16 (manca all’appello la GSA 21) sia addirittura peggiorato negli ultimi anni nonostante i PdG, la riduzione della capacità / attività italiana e gli ulteriori inasprimenti delle misure (come l’aumento dei giorni di fermo di pesca, cd fermo biologico) che hanno ovviamente interessato anche le flotte siciliane.
Per inciso, il PdG del 2018 per il gambero rosa prevedeva, per il 2020, un RF pari a 1.18 e 0.76 ove fosse stata applicata una riduzione di Fc per anno pari a -5% e -15%, rispettivamente. Che il RF di 1.52 del 2018 possa ridursi a quelli prefissati nel giro di due anni rimane quasi nella sfera dei miracoli (come si vedrà anche di seguito).
Com’è possibile spiegare che lo stock di gambero rosa stia peggio di prima o come prima?
Se si escludono (probabili) errori nella raccolta dati, valutazioni non appropriate, cambi nelle metodologie di analisi, l’inconsistenza dell’ipotesi di un solo stock, variazioni in negativo del ciclo di vita del gambero o del clima ed infine incidenza di pratiche illegali (quali il non rispetto delle norme), l’unica cosa che rimane da esplorare è trovare eventuali anomalie di contesto.
In modo stupefacente, però, gli anonimi autori del D20 non danno alcun commento sulle criticità evidenziate in questa nota enfatizzando solamente la riduzione dell’attività da pesca, nel corso del 2019, nelle 3 zone recentemente chiuse allo strascico che, si presuppone, daranno positivi effetti in futuro.
Ma quali sono le flotte di pesca a cui si riferisce la riduzione dell’attività nelle zone chiuse?
Implicitamente sono solo quelle italiane dato che non compaiono mai i nomi dei paesi delle altre GSA coinvolte (Libia, Tunisia e Isole Maltesi). Invero, “Malta” compare nella definizione di una delle 3 zone chiuse (East of Malta Bank) che quindi nella GSA 15 e non nella G16.
Tuttavia, ci viene in aiuto un documento GFCM del 2020 (citato nel D20) da cui si apprende che lo stock unitario di gambero rosa delle GSA 12 -> 21 (inclusa la G16) è congiuntamente sfruttato (shared stock) dalle flottiglie da pesca Italiane, Tunisine, Maltesi e Libiche (ma di queste ultime non ci sono dati). Sempre gli Autori del documento GFCM stimano (mediando la Fc sugli ultimi 3 anni di dati) un intervallo di RF (= Fc / FMSY) pari a 1.37 – 1.52 per il gambero rosa; non è chiaro perché poi il D20 scelga solo il valore 1.52, ma anche 1.37 indicherebbe uno stato di sovra pesca.
Incredibilmente, gli Autori del GFCM suggeriscono, come indicazione gestionale, di ridurre ulteriormente la Fc senza spiegare come mai la stessa rimanga lontana dall’obbiettivo FMSY nonostante anni di riduzione della capacità ed attività delle flotte italiane.
Ed ecco forse la terribile spiegazione di contesto, almeno per il gambero delle GSA 12 -> 21.
Non è che mentre l’Italia demolisce i pescherecci siciliani e obbliga i suoi pescatori a rispettare una pletora di misure restrittive, i loro colleghi Tunisini, Libici e (almeno in parte visto l’appartenenza alla UE) Maltesi continuano a pescare come prima e anche più di prima traendo vantaggio dagli incrementi di stock in mare causati dal ridotto sforzo italiano?
L’ipotesi che, almeno nel caso specifico, l’Italia abbia attivato i PdG praticamente unilateralmente ed esclusivamente per i pescatori siciliani, sembra essere confermata da una recente affermazione di Fabio Fiorentino, responsabile scientifico del Piano Nazionale Italiano di Raccolta di dati Alieutici, il quale testualmente scrive “… spesso accade che tali obiettivi generali siano dichiarati ufficialmente negli accordi internazionali, ma disattesi nelle concrete politiche di gestione dei Paesi non comunitari, che hanno necessità diverse rispetto a quelle dei Paesi più sviluppati. Mi sono perfettamente chiare le difficoltà legate alla gestione delle risorse di stock condivisi tra Paesi che hanno strutture socio-economiche molto diverse come avviene nello Stretto di Sicilia, ma ritengo che i Paesi più avanzati abbiano il dovere morale di dare l’esempio nell’adottare misure gestionali che contemplino da un lato la sostenibilità socio economica della pesca e dall’altro la conservazione delle risorse.”
Dato che Tunisia e Libia non fanno notoriamente parte della UE, la frase di cui prima conferma che da anni l’Italia sta regalando (con denaro pubblico) ai pescatori Nord Africani una doppia opportunità di sviluppo. Da un lato riducendo la flotta e lasciando spazio alla concorrenza e, dall’altro offrendo spazi di mercato al pescato “foraneo” più ricco perché più abbondante dato il miglioramento degli stock in mare.
Infatti, non va dimenticato che l’Italia deve colmare il deficit di prodotti della pesca aumentando le importazioni dall’estero dato che gli italiani continuano ostinatamente a voler gustare pesci, molluschi e crostacei marini. Come recentemente evidenziato anche da Pesce in rete “… un’altissima percentuale di italiani (94%) dichiara di consumare abitualmente prodotti ittici e .. il 41% si dichiara un vero e proprio seafood lover, amante e appassionato dei prodotti offerti dal mare. Perché in Italia questi non sono solo un alimento, ma cultura e tradizione.”
Inoltre, per gli Italiani la beffa si aggiunge al danno dato che la profetizzata ricostituzione degli stock al BMSY rimarrà un’utopia, almeno per quegli stock condivisi di mare aperto (cioè non costieri come le triglie) che rimarranno comunque in sovra pesca.
Insomma, un bilancio disastroso dal punto di vista di uno scienziato alieutico che ha anche a cuore gli interessi della pesca marittima del suo paese.
In conclusione, forse è il caso che l’Italia cambi la sua politica sulla pesca magari creando un nuovo team di esperti, anche di fama internazionale, per rivedere dalle radici gli attuali Piani di Gestione, cambiare la cd governance e cercare di far rinascere la pesca marittima italiana prima che sia troppo tardi.
Allora sì che si potrà ripristinare la frase di Boskov: “Squadra che vince, non si cambia!”
Bibliografia essenziale
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Sergio Ragonese
Ricercatore senior presso l’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine (IRBIM), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Sede Secondaria di Mazara, Via Luigi Vaccara, 61, 91026, Mazara del Vallo (TP), Italia. E-mail: ragonesesergio@gmail.com
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