È storia nota la crisi del settore ittico ai tempi dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. L’ agricoltura resiste, la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti primari anche, ma la pesca soffre. È tra le attività autorizzate ad andare avanti, ma di fatto si ferma: in molti casi è difficoltoso garantire le necessarie misure di sicurezza, in moltissimi altri casi invece si riesce a lavorare ma poi il pesce non viene venduto. Colpa dei ristoranti chiusi, colpa dei consumatori che non si recano più nelle pescherie o che nei supermercati scelgono prodotti a lunga scadenza. La strenua ricerca di soluzioni alla crisi economica sembra dare pochi risultati per gli operatori del settore che, ad oggi, appaiono quanto mai confusi e disorientati. L’ orientamento più diffuso, probabilmente non a torto, è quello di tenere duro e continuare a lavorare, magari non a pieno regime ma comunque lavorare. Per alcune imprese una soluzione potrebbe essere quella di fornire materie prime alla grande industria di surgelazione e di trasformazione ittica che attualmente attinge soprattutto dal mercato estero. Lo scoramento, come al solito e per evidenti motivi, è soprattutto quello della pesca artigianale che generalmente è quella che basa i propri introiti sulla ‘prima vendita’ sia al dettagliante sia al grossista. Probabilmente è in quest’ottica che va ricercato un piccolo spiraglio, una piccola speranza di sopravvivenza. Si può puntare sulla filiera corta, sul km 0 per mangiare pesce fresco di qualità dando una mano ai pescatori che vogliono continuare a lavorare. Tutto ciò è possibile: esiste una precisa normativa europea che prevede e disciplina la vendita del pesce fresco di giornata direttamente sul luogo di sbarco.
“Pensiamo che questa di vendere il pesce direttamente al consumatore sia una prassi da incentivare soprattutto in questo momento cosi difficile”, dichiara il presidente nazionale di UNCI Agroalimentare, Gennaro Scognamiglio.
“Il passaggio diretto dal produttore al consumatore assicura l’approvvigionamento di pesce fresco di giornata a un costo piuttosto contenuto. Chiaramente il pesce destinato al consumo umano diventa prodotto alimentare e dunque il pescatore è a tutti gli effetti operatore alimentare e in quanto tale deve ottemperare a tutte quelle prescrizioni igienico- sanitarie nonché tecniche, previste dal nostro ordinamento nazionale e anche da quello europeo. In questo momento di crisi, noi di UNCI Agroalimentare riteniamo che la cessione diretta al consumatore sia una opportunità di reddito da incoraggiare”, prosegue Scognamiglio.
“A tal proposito abbiamo cercato di mettere a punto un piccolo, semplice decalogo contenente i riferimenti normativi e le modalità da osservare nel caso in cui un pescatore decida di mettere in atto questa pratica di vendita. Chiaramente vanno rispettate tutte le norme previste dai DPCM in materia di contenimento del contagio da Cvid-19 sia sull’imbarcazione, durante l’attività lavorativa, sia a terra durante la compravendita. In maniera particolare raccomandiamo ai nostri pescatori di assicurare a bordo le distanze minime consentite tra i lavoranti e la dotazione, per tutti, di dispositivi personali di protezione. Lo stesso vale a terra: è necessario evitare gli assembramenti e fare in modo che i potenziali acquirenti rimangano sempre ad una distanza minima di sicurezza”, prosegue il presidente di UNCI Agroalimentare.
“Come ha detto qualcuno forse più importante di noi, siamo tutti sulla stessa barca, nessuno può fare a meno dell’altro, nessuno si salverà da solo. È così cerchiamo di darci una man l’un l’altro, ognuno come può. Uniti ce la faremo”, conclude Scognamiglio.