La crisi della pesca, settore un tempo florido e vitale, in Sicilia è ormai tangibile. Tangibile da circa 30 mila famiglie che lavorano nel comparto, ma anche dai consumatori e dalla fauna ittica del Mar Mediterraneo. Si pensi, infatti, che dal 2000 a oggi i pescherecci siciliani si sono dimezzati da 4329 a 2882 a scapito soprattutto di quelli di maggiore stazza e potenza. Delle 22 barche industriali per la pesca e il trattamento del tonno rosso ne sono rimaste appena tre. Tra i 30 mila lavoratori della filiera, diecimila sono pescatori. Negli ultimi anni, però, sono stati eliminati ben 16 mila posti di lavoro e il pescato in dieci anni si è ridotto del 40%, dalle 103 mila tonnellate del 2005 alle 62 mila del 2014.
Sono invece aumentate le importazioni del pesce lavorato dalle circa 350 aziende di trasformazione e commercializzazione che hanno un fatturato di circa 400 milioni di euro. Giovanni Tumbiolo, presidente del Distretto produttivo della pesca Cosvap di Mazara del Vallo, afferma cha si dovrebbe guardare prima alle colpe individuali. “Abbiamo 121 porti di sbarco – dichiara Tumbiolo – e una marineria fatta di microrealtà che fino ad oggi non sono riuscite a fare sistema. Inoltre non abbiamo affrontato il problema di una pesca sostenibile e ad alta tecnologia. Con alcuni sistemi di pesca attualmente si ributta in mare fino al 60% del pescato, uno spreco e un danno enorme”.
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