La domanda globale di pesce è in forte crescita a fronte di sovrasfruttamento ittico che potenzialmente potrebbe condurre ad uno stop della pesca. Davanti a uno scenario enigmatico l’Open Blue, azienda leader nell’itticoltura, tramite i suoi studi ha tentato di offrire adeguate soluzioni nell’ottica della sostenibilità. Come? Creando una piattaforma in mare aperto con un impatto neutro sull’ambiente e studiando il Cobia, un pesce pelagico somigliante ad uno squaletto e che non vive in banco. Le sue carni sono particolarmente ricche di Omega-3, DHA e EPA.
Il Cobia è originario della regione della Costa Arriba, Panama, e nasce e si sviluppa a 12 km dalla costa in acque profonde (da 70 a 90 metri) dove è garantito il suo ambiente naturale. Il suo nutrimento è costituito da farina e olio di pesce, proteine vegetali, vitamine e minerali, ovvero con mangimi privi di OGM e di ormoni, coloranti, pesticidi, antibiotici e altri pericolosi contaminanti.
La tecnica di pesca, che ne assicura una buona qualità e una durata di più di 18 giorni, è quella giapponese Ike-Jime. Giunge in Italia il giovedi dopo essere stato precedentemente abbattuto il lunedi, e seppur non sia a chilometro zero, rappresenta comunque una specie salutare e tracciabile. Sono svariati gli utilizzi che del Cobia è possibile fare tra i fornelli. Un esempio sono la cottura in padella, alla griglia, al forno, oppure fritto affumicato, bollito, brasato, al vapore o anche crudo (è certificato Kosher e 99, 9% Anisakis free).
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