La bussola. Pescatori di rifiuti – L’anno 2022 appena terminato sarà ricordato come un anno importante per l’ambiente marino nazionale con il varo della legge cosiddetta “salvamare”. Certo, una legge non perfetta, limitata, frutto di diversi compromessi, ma che rappresenta comunque un punto di partenza importante da cui poter seriamente provare a sviluppare talune azioni e progetti per contribuire al miglioramento dell’ecosistema marino.
Non c’è più tempo da perdere
La parola d’ordine è: non c’è più tempo da perdere, il mare non deve più continuare a ricevere e contenere rifiuti e tutti siamo chiamati a difesa del futuro dei nostri mari. Non serve solo una pressione culturale in tal senso ma anche efficaci politiche di proposizioni e di incentivazioni.
In epoca passata si discuteva di “inquinamento” marino, molto spesso associato a quello dello sversamento in mare, accidentale o volontario, di idrocarburi o a quello degli scarichi di liquami lungo le coste. Purtroppo il tempo ed il progresso hanno fatto “emergere” anche la massiccia presenza nelle acque marine di materie soprattutto plastiche ed ecco che si parla più insistentemente dei “rifiuti” marini.
Con l’incremento dei traffici marittimi già a partire dagli anni 70 la comunità mondiale si era resa conto che oltre ai casi di sinistri marittimi occorreva intervenire per prevenire qualsiasi fonte di potenziali inquinamenti provocati dalle navi, compresi quelli derivanti dai rifiuti solidi, ed il pilastro storico è tuttora costituito dalla convenzione internazionale MARPOL, sottoposta a frequenti aggiornamenti in linea con le crescenti richieste di protezione ambientale. L’attenzione della convenzione MARPOL, come già detto, si limita alle navi, tuttavia rappresenta un solido fronte comune mondiale che non si riscontra in altri campi in materia ambientale e con tempi di realizzazione molto ristretti.
L’ONU da parte sua, attraverso l’Agenda 2030, si era posta come obiettivo di prevenire e ridurre in modo significativo, entro il 2025, ogni forma di inquinamento marino, in particolar modo quello derivante da attività esercitate sulla terraferma. Nel nostro continente la questione globale dei rifiuti è stata trattata negli anni dalle pertinenti Istituzioni Europee con apposite Direttive di cui quella di interesse per il tema in trattazione risale al 2008 che traccia una Marine Strategy avente l’obiettivo di raggiungere una buona salute dei nostri mari entro il 2020.
In campo nazionale, agli inizi del 1983, ci si è mossi con una legge recante disposizioni per la difesa del mare, meglio conosciuta come legge di istituzione delle riserve marine, ma il cui scopo generale era quello dell’attuazione di una politica intesa alla difesa del mare dall’inquinamento ed alla tutela dell’ambiente marino.
Fatto questo doveroso, propedeutico e breve excursus sulla visione generale a livello mondiale, comunitario e nazionale sulle questioni di protezione dell’ambiente marino e sulla salvaguardia delle sue risorse, torniamo alla legge “salvamare” ed alle sue implicazioni in materia di pesca.
La legge salvamare
Due sono i concetti chiave che vengono introdotti con questa legge: campagna di pulizia e campagna di sensibilizzazione. La prima è intesa come iniziativa preordinata all’effettuazione di operazioni di pulizia del mare; la seconda è una attività finalizzata a promuovere e diffondere comportamenti di prevenzione dell’abbandono dei rifiuti in mare.
È giusto, tuttavia, richiamare prima l’attenzione sulla questione dei rifiuti accidentalmente pescati con le reti durante le operazioni di pesca che, in passato, venivano ributtati in mare per colpa anche degli ostacoli normativi, primo fra tutti il regime dello smaltimento dei rifiuti secondo il nostro Codice dell’Ambiente del 2006. In tal senso è stata introdotta l’equiparazione di tali rifiuti a quelli prodotti dalle navi potendosi avvalere pertanto, in forma gratuita, della organizzazione e delle strutture portuali disciplinati già dalla norma nazionale di riferimento per le navi emanata nel 2003. Da osservare, in merito alla gratuità, la previsione che i costi di tali operazioni dovranno essere ripartiti sull’intera collettività con modalità (apposita tassazione) in corso di definizione. Quindi, innanzitutto, dovrebbe radicarsi la cultura del mantenimento a bordo e del successivo conferimento in porto dei rifiuti raccolti da parte dei pescatori con il conseguente favoreggiamento dell’economia circolare e, a rafforzamento di queste iniziative spontanee, subentrare l’organizzazione delle due campagne di pulizia e di sensibilizzazione sopra richiamate. Ma, a dire il vero, le adozioni di campagne di pulizia, premesso che possono essere attuate non soltanto con il coinvolgimento degli operatori della pesca ma anche di altre organizzazioni generalmente di natura ambientalista, non rappresentano una novità in ambito comunitario. Anzi l’UE ha previsto negli ultimi anni specifici finanziamenti per le iniziative di raccolta dei rifiuti in mare. Difatti, nell’ambito del FEAMP 2014-2020 è stata prevista la possibilità di un sostegno finanziario per la raccolta, da parte dei pescatori, di rifiuti dal mare, compresa la rimozione degli attrezzi perduti e di altri rifiuti giacenti sui fondali. Tale sostegno viene ripreso dal successivo fondo FEAMPA, valido fino al 2027, ma articolato diversamente con il riconoscimento di un indennizzo ai pescatori che raccolgono “passivamente” attrezzi da pesca perduti e rifiuti marini ed inoltre un sostegno per gli investimenti intesi a predisporre nei porti adeguate strutture in cui depositare gli attrezzi e i rifiuti raccolti.
Come si vede con il FEAMPA si incrementa l’allineamento alla normativa ambientale europea degli sforzi per il conseguimento di un buono stato ecologico dei nostri mari, realizzato con il coinvolgimento del settore della pesca verso l’attuazione della strategia europea per la plastica, componente predominante nei rifiuti marini, verso l’economia circolare. Ciò, in aggiunta alle iniziative, già esposte in precedenti occasioni, dirette alla blue economy con la costruzione di attrezzi da pesca green e con la limitazione degli inquinamenti provocati dai motori dei pescherecci. Per completezza, va precisato che i rifiuti marini devono intendersi nelle due forme galleggianti e affondati, che le iniziative possono essere programmate, come già detto, non solo da pescatori e loro organizzazioni ma anche da Istituti scientifici, organizzazioni ambientalistiche, ecc., e, infine che la regia viene affidata alle Autorità Comunali.
Tali campagne non rappresentano una novità, molto spesso sono state effettuate pulizie di fondali sotto costa ad opera di sub non professionisti, in maniera autonoma o organizzata, spontaneamente o per conto di associazioni ambientaliste, sulla spinta di forti e documentate denunce da parte di operatori subacquei che nel corso delle loro esplorazioni hanno fotografato lo stato dei fondali.
Tra le problematiche sollevate si rileva quello delle cosiddette “reti fantasma”, reti accidentalmente perdute in mare anche in tempi lontani, che risiedono sui fondali costituendo un pericolo sia per la fauna ittica, a causa del fenomeno dell’intrappolamento, che per la salute del mare a causa della loro natura sintetica.
Il punto è proprio questo: non basta una svolta comportamentale generale per la salvaguardia del futuro dei nostri mari ma occorre anche sanare le conseguenze di infelici o errati comportamenti del passato. Negli anni 90, per esempio, fortunatamente per un brevissimo periodo, in Italia fu consentito di attuare l’arresto definitivo delle unità da pesca, sostenuto con fondi pubblici, con l’affondamento degli scafi in aree costiere nelle quali si intendeva sia porre una barriera alla pesca a strascico illegale sia favorire un presunto ripopolamento ittico offrendo rifugi alle specie ittiche. Ma a parte queste situazioni “macroscopiche” resta il fatto che negli anni passati in mare si è riversato di tutto, spesso volontariamente, nella convinzione che la loro apparente invisibilità innescata dalle enormi distese marine corrispondesse al definitivo smaltimento. A tal proposito, si è accennato sopra dello stato dei fondali sotto costa, da ultimo va segnalato l’allarme lanciato sullo Stretto di Messina, ma bisogna rilevare come i pescherecci d’altura che utilizzano reti radenti debbano fare i conti con i rifiuti rinvenuti nei loro sacchi e inevitabilmente, almeno in passato, ributtati in mare. Pertanto non è da escludere che nel nostro Mediterraneo in talune zone si siano formate vere e proprie discariche sottomarine offshore. Ma qui il problema sarebbe molto più complesso con la necessità di impiego di navi oceanografiche e di robot sottomarini.
In conclusione, l’affibbiare a questa legge l’etichetta, magari trionfalistica, di “salvamare” sembrerebbe in tutta onestà solo parzialmente aderente alla realtà, visto il suo ristretto raggio di azione, ma sicuramente essa rappresenta un tassello nuovo nella promozione della coscienza civile sull’ambiente marino e che dovrà contribuire al ripristino, per quanto possibile, della salute dei nostri mari.
Ci si augura adesso che gli operatori e le organizzazioni facciano, concretamente e in maniera estesa, la loro parte e che i Ministri competenti si affrettino ad emanare tutti i regolamenti che dovranno rendere esecutive le iniziative previste.
La bussola. Pescatori di rifiuti