Le migrazioni dei pesci per via dell’aumento delle temperature delle acque marine potrebbero provocare rotture e scontri tra i diversi paesi interessati dal fenomeno.
Il cambiamento climatico sta spingendo le specie ittiche a migrare verso nuove aree, e in questo processo stanno attraversando i confini politici, creando potenzialmente conflitti futuri, dato che alcuni paesi perdono l’accesso ai pesci e altri lo guadagnano. Questo il risultato di “Preparing ocean governance for species on the move”, un recente studio pubblicato sulla rivista Science.
Pesci e altri animali marini si sono già spostati verso i poli ad una velocità media di 70 chilometri per decennio. Si prevede che tale velocità continui o addirittura acceleri mentre il pianeta si riscalda.
Il pesce che si sposta in una nuova zona potrebbe spingere la raccolta competitiva tra paesi che si affannano per sfruttare risorse in via di estinzione.
“Il conflitto porta alla pesca eccessiva, che riduce il cibo, i profitti e i posti di lavoro che la pesca può fornire e può anche fratturare le relazioni internazionali in altri settori non dediti alla pesca”, lo ha dichiarato Malin Pinsky, autore principale dello studio e professore di biologia alla Rutgers University.
Lo studio ha esaminato la distribuzione di quasi 900 pesci e invertebrati marini commercialmente importanti, esaminando come i loro movimenti si intersecano con 261 delle zone economiche esclusive del mondo. Se le emissioni di gas serra continueranno ai tassi attuali, entro il 2100, oltre 70 paesi vedranno nuovi stock ittici nelle loro acque.
“Tagliare le emissioni di gas serra potrebbe ridurre la scala e il numero di queste migrazioni di metà o più”, sostiene Pinsky.
Il conflitto tra paesi per la migrazione di stock ittici non è inaudito. Negli anni 2000, la migrazione degli sgombri nell’Atlantico nord-orientale ha causato una spaccatura tra l’Islanda e altre nazioni. Nel Pacifico orientale, un periodo di temperature oceaniche calde negli anni 80 e 90 ha modificato i modelli di riproduzione dei salmoni, provocando uno scontro tra Stati Uniti e Canada.
Pinsky ha elencato gli Stati Uniti, l’Islanda, la Gran Bretagna, la Russia e i paesi dell’Asia orientale come alcuni dei paesi che dovranno iniziare a condividere molto di più. “Sono particolarmente preoccupato per l’Asia orientale, dove i rapporti marittimi sono già tesi sui confini contesi”, ha detto Pinsky.
Secondo lo studio, entro il 2100 molti paesi potrebbero ottenere fino al 30% delle loro catture da nuove attività di pesca per via di migrazioni nelle loro zone economiche esclusive. Le attività di pesca intorno al Mare di Bering potrebbero arrivare ad una percentuale ancora più elevata.
I paesi tropicali sembrano soffrire in modo significativo, dal momento che i pesci si sposteranno in acque più fredde e altri non prenderanno il loro posto. “I pesci in generale si stanno muovendo verso latitudini più elevate “, ha detto Pinsky. “Pensiamo che ciò significhi che ci sarà meno pesce nei tropici, ma non lo sappiamo ancora per certo.”
“Alcune specie potrebbero adattarsi alle acque più calde, e alcune prove suggeriscono che è più probabile che accada nei tropici, dove i pesci non dovranno anche competere con nuove specie” ha detto Pinsky. “Tuttavia, non sappiamo ancora se possono adattarsi abbastanza velocemente per stare al passo con le acque che si stanno riscaldando rapidamente”.
Il Golfo del Maine sta già vivendo importanti migrazioni. L’aragosta si sta spostando verso il Canada, il merluzzo si sta spostando sempre più in profondità e il branzino nero si trova a nord di Cape Cod.
“Il Golfo del Maine è davvero il punto zero per mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici”, ha spiegato sempre a SeafoodSource Marissa McMahan, scienziata di Manomet, una organizzazione no profit del New England che lavora su questioni ambientali, anche attraverso la collaborazione con i pescatori.
I pescatori stanno rispondendo ai cambiamenti in modi diversi. Alcuni stanno prendendo di mira le specie sottoutilizzate o sottovalutate. I pescatori più giovani, in particolare, sembrano più disposti a considerare il potenziale dell’acquacoltura per diversificare le loro entrate.“In questo modo il loro sostentamento non dipende da una pesca che potrebbe crollare se si sposta”, ha detto McMahan. “Mentre i pesci migrano verso nuove acque, sono necessari dati migliori per valutare realmente gli stock. I pescatori con le loro osservazioni giocano in questo caso un ruolo importante”.
Fonte: SeafoodSouce – Aaron Orlowski