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Home Sostenibilità

Plastica. Il mare ci restituisce ciò che vi gettiamo

Mariella Ballatore by Mariella Ballatore
16 Febbraio 2017
in Sostenibilità
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Alcuni scienziati della Ghent University in Belgio hanno calcolato di recente che gli amanti di cozze mangiano fino a 11.000 frammenti di plastica ogni anno. Di questo quantitativo l’uomo ne assorbe meno dell’1%, che rimane e si accumula nel suo organismo nel corso del tempo. I risultati riguardano tutti gli europei, ma, come voraci consumatori di cozze, i belgi sono stati considerati maggiormente esposti. I britannici non se la passano meglio, lo scorso agosto, i risultati di uno studio condotto dalla Plymouth University, hanno suscitato grande scalpore rivelando che diversi quantitativi di plastica erano stati rinvenuti in un terzo di pesce pescato nel Regno Unito, tra cui merluzzo bianco, eglefino, sgombri e molluschi.

Al di là della forte attrazione per moules frites o fish and chips, questo problema va ben oltre il Belgio e la Gran Bretagna, pesce e frutti di mare contaminati sono stati trovati in tutto il mondo, dall’Europa al Canada, dal Brasile alla Cina e la plastica ingerita dai pesci ora si trova in tutti i supermercati.

La domanda non è più: stiamo mangiando plastica insieme con il nostro pesce? Ciò che gli scienziati stanno cercando di stabilire con urgenza è quanto male possa fare. Un’altra domanda che ci si potrebbe chiedere: come siamo arrivati ​​qui? I ricercatori di tutto il mondo nel 2013 hanno assemblato i dati raccolti in oltre sei anni di ricerche e sono giunti alla conclusione che ci sono già più di cinque miliardi di pezzi di plastica negli oceani di tutto il mondo, la maggior parte di piccolissime dimensioni, microplastiche.

Le microplastiche – che variano nel formato da 5mm a 10 nanometri – provengono da diverse fonti. Queste piccole particelle vengono scambiate per cibo da alcune specie di pesce che prontamente le ingeriscono. Nel luglio 2015, una squadra del Plymouth Marine Laboratory ha realizzato un filmato che mostra zooplancton che si nutre di microplastica. Dato che questi minuscoli organismi costituiscono una parte fondamentale della catena alimentare, le implicazioni sono apparse immediatamente scioccanti. C’è poi una grande varietà di pesci e molluschi che mangiano direttamente la plastica. Una ricerca pubblicata lo scorso anno da Science evidenzia che il persico in età giovanile preferisce le particelle di polistirene al plancton di cui normalmente dovrebbe nutrirsi.

Mentre la maggior parte di plastica è stata trovata nelle budella dei pesci, e potrebbe quindi essere rimossa prima di mangiarli, alcuni studi hanno avvertito che le microplastiche possono passare direttamente nelle carni del pesce.

Due settimane fa, il GESAMP, The Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection, ha pubblicato la seconda parte della sua valutazione globale sulla microplastiche. Ha confermato che la contaminazione è stata registrata in decine di migliaia di organismi e più di 100 specie. L’anno scorso, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (European Food Safety Authority) ha sollecitato una ricerca urgente, dimostrando crescente preoccupazione per la salute umana e per la sicurezza alimentare “visto il potenziale inquinamento da microplastiche dei tessuti commestibili di pesce commerciale”.

Eppure, il professor Richard Thompson, uno dei maggiori esperti internazionali su microplastiche e detriti marini, lavora in questo settore da 20 anni, è ottimista.  Nel 2004, la sua squadra della Plymouth University, ha rilasciato i dati della prima ricerca sulla microplastica marina, sono stati i primi a dimostrare che le microplastiche sono trattenute da organismi come le cozze, e fu la loro ricerca a scoprire tracce di plastica in un terzo di pesce pescato nel Regno Unito.

“Si dovrebbero mangiare ben oltre 10.000 cozze in un anno per raggiungere le quantità di materie plastiche segnalate dai ricercatori belgi” dice. E, soprattutto, non ci sono prove di danni per gli esseri umani da tali quantitativi. Thompson è d’accordo sulla contaminazione diffusa ma “non è ancora un motivo di allarme. È importante non esagerare i rischi prima che essi siano pienamente dimostrati.”

La Food and Agriculture Organisation ha sottolineato nel 2014 come siamo diventati dipendenti dai prodotti ittici come fonte di proteine ​​- si stima che il 10-12% della popolazione mondiale si basa sulla pesca e l’acquacoltura per il suo sostentamento. Il consumo pro capite di pesce è passato da 10 kg nel 1960 a più di 19kg nel 2012, e la produzione di pesce ogni anno registra il doppio del tasso di crescita della popolazione mondiale. In altre parole, la domanda di prodotti ittici è in aumento, così come la sua operatività futura è a rischio. Qualcosa si deve fare – ed è sempre più chiaro che deve essere il nostro approccio con la plastica usa e getta.

L’idea di economia circolare sta prendendo piede; ora c’è un ampio consenso sul fatto che l’industria abbia bisogno di muoversi verso prodotti in grado di massimizzare il riciclaggio e il riutilizzo.

Forse lo shock di scoprire che la plastica ritorna a noi, nei nostri piatti, contribuirà a fare capire meglio il messaggio. “Siamo sull’orlo di una grave catastrofe ecologica”, dice Thompson. “Le microplastiche presenti nei pesci ne sono un chiaro esempio. Ci sono cose che possiamo fare, ma abbiamo bisogno di farle adesso”.

Tags: economia circolaremicroplastichepesce
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Co-founder e Direttrice di redazione. Pubblicista dal 2006 racconta il mondo da oltre un trentennio attraverso giornali, televisione e radio. Come conoscitrice del settore pesca e acquacoltura è stata più volte invitata a moderare e relazionare in convegni organizzati tra gli altri dalla Conferenza Episcopale Italiana – Ufficio nazionale dell’Apostolato del Mare, AquaFarm, Blue Sea Land.

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