Ultimamente, i crostacei sono soggetti ad alcuni dibattiti per definire quale sia la definizione di “benessere” degli stessi. Infatti, secondo il Reg. (CE) n. 853/2004, i crostacei sono prodotti della pesca e, citando il regolamento, “i prodotti della pesca mantenuti vivi devono essere mantenuti a una temperatura e in condizioni che non pregiudichino la sicurezza alimentare e la loro vitalità”.
Tuttavia, i regolamenti europei e italiani non danno disposizioni dettagliate su come questi animali dovrebbero presentarsi al consumo, cioè se sia meglio detenerli in vasche e le caratteristiche delle stesse, oppure se sia permesso legare le chele, o altro ancora. Per le vasche, infatti, solo alcuni regolamenti comunali danno indicazioni, che si presentano ancora meno informative, poiché sono spesso utilizzati i termini “adeguato/a” e “conforme”, che non rappresentano una informazione utilizzabile. Tuttavia, una non corretta gestione dell’acquario in cui i crostacei vengono detenuti rappresenta un ulteriore stress e disagio per gli stessi. Oltre al fatto che scientificamente non è confermata una minore sofferenza degli animali all’interno degli acquari piuttosto che su un tappeto di ghiaccio. Inoltre, legare le chele degli esemplari viene considerata una buona pratica, poiché tutela i crostacei da infliggersi mutilazioni e ferite, che provocherebbero sofferenze inutili negli esemplari.
L’opinione pubblica, però, è molto riluttante su questo punto, anche se è necessario puntualizzare che la sopravvivenza dei crostacei nei punti vendita non supera le 48-72 ore, che è un tempo insufficiente per far manifestare agli animali atrofia delle chele. L’alternativa consigliata dalle linee guida internazionali è il taglio del legamento brachiale, che però porta a maggiore rischio di infezione e di morte degli animali. Bisogna, inoltre, ricordare che è giusto pensare al benessere degli animali, ma questo non dovrebbe pregiudicare la sicurezza alimentare del prodotto: infatti, esporre crostacei a temperature ambientali può aumentare la contaminazione batterica e le alterazioni delle carni, accelerando il metabolismo dell’esemplare stesso. Lo stesso può succedere negli acquari, dove gli animali stressati, possono ammalarsi più frequentemente.
Secondo la pubblicazione dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) “Aspetti della biologia e del benessere degli animali utilizzati a fini sperimentali e scientifici” (2005), la maggioranza dei crostacei decapodi sarebbe, e quindi anche aragoste ed astici, in grado di esprimere un certo grado di coscienza e consapevolezza e conseguentemente di provare dolore. Inoltre, nel 2007 un membro dell’Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia-Romagna ha emesso un parere sulla sofferenza di aragoste e astici vivi con chele legate e su un letto di ghiaccio.
Vengono quindi proposti acquari con divisori per contenere un singolo esemplare oppure con all’interno rocce o altri materiali per ricreare l’habitat naturale, ad esempio, dell’aragosta: in questo modo gli animali non alloggerebbero su un letto di ghiaccio e non si dovrebbero legare le chele.
Purtroppo, ad oggi, non è ancora presente una normativa chiara riguardante i crostacei; conseguentemente non è possibile fornire alle imprese linee guida che indichino il miglior metodo per trattare gli esemplari. Continuano, inoltre, le ricerche per stabilire quanto questi animali siano cognitivi, quale sia la loro condizione di benessere del banco vendita e il miglior metodo di commercializzazione, garantendo contemporaneamente la salubrità del prodotto per il consumatore.
Luna Lorito