La bussola Rapporti tra AMP e pesca professionale nel contesto della politica ambientale europea – Nel corso dei miei precedenti interventi ho avuto modo di richiamare tra i principi comunitari in materia ambientale quelli relativi alla protezione degli esseri viventi marini anche mediante il contrasto alla pesca illegale. La stessa UE, nell’ottica dell’incentivazione del rafforzamento della cultura ambientale generale, ha operato anche il finanziamento, nell’ambito dei propri fondi strutturali, di iniziative “volontarie” da parte degli operatori della pesca intese a contribuire ulteriormente alla salvaguardia degli stocks ittici lungo le coste attraverso l’implementazione di Piani di Gestione Locali (PGL) da parte di appositi Consorzi (CO.GE.PA.) all’uopo costituiti. Abbiamo visto, inoltre, come questi PGL ad iniziativa strettamente comunitaria, ancorché di più recente costituzione, si collochino a fianco delle preesistenti previsioni nazionali di istituzione delle Aree Marine Protette (AMP) che, si badi bene, hanno invece come obiettivo la protezione diretta dell’intero habitat marino interessato.
Altra differenza tra i due Istituti è data dalle dimensioni poiché le AMP hanno perimetri molto più ristretti e circoscritti rispetto a quelli dei PGL che abbracciano invece spazi marittimi molto più ampi con il conseguente inglobamento delle stesse, eventuali, AMP insistenti nei tratti di costa interessati. Tuttavia è da evidenziare che anche la protezione degli habitat naturali ha una incisiva matrice europea. basti pensare alla grande rete europea dei siti NATURA 2000, istituita nel 1994 e di cui le AMP nazionali costituiscono una perfetta integrazione, avente lo scopo della protezione e della conservazione di siti ecologici “speciali”. Inoltre, in generale, la protezione integrata terra-mare viene valorizzata dalla UE anche nell’ottica del contributo alla lotta dei cambiamenti climatici di cui ai nostri giorni ne stiamo subendo talune dirette conseguenze.
Un particolare di non secondaria importanza è costituito dal passaggio dal concetto di proibizionismo puro a quello gestionale sul quale l’UE ha speso e continua a spendere molto promuovendo ed incentivando meccanismi di carattere partecipativo in campo ambientale con il coinvolgimento soprattutto delle Istituzioni locali. Un esempio, già esposto in una precedente occasione, è costituito dalla evoluzione dei CO.GE.PA. nelle forme organizzative più complesse costituite dai FLAG (Gruppi di Azione Costiera) che hanno il compito della valorizzazione costiera in tutti i settori che vi confluiscono. Per le AMP concettualmente abbiamo la stessa linea d’azione ma in forma pratica diversa. Erroneamente, un tempo, le AMP venivano considerate dall’opinione pubblica come un qualcosa nato per impedire la pesca illegale piuttosto che come forma di salvaguardia di ecosistemi marini particolarmente significativi e fragili e che appartengono al nostro patrimonio naturalistico. In realtà, con la loro modulazione a tutele progressive attraverso le tre zone contrassegnate con le lettere A, B e C, delle aree marittime interessate alla protezione, le AMP sono sottoposte ad una fruizione responsabile sia da semplici cittadini che da portatori di interessi su quelle zone come ad esempio i pescatori professionisti.
Proprio quest’ultima categoria, dal punto di vista operativo, è quella che maggiormente subisce le influenze delle regolamentazioni ivi stabilite, specialmente nelle piccole realtà insulari. Difatti il presupposto alla base della protezione è quello della limitazione delle “interferenze” sull’ecosistema da tutelare che, mentre si possono facilmente evitare con l’uso ricreativo del mare, difficilmente ciò è possibile per i metodi ed i sistemi di pesca professionali attualmente in uso fermo restando il principio dettato dalla UE, attraverso la Politica Comune della Pesca (PCP), di utilizzo di tecniche di pesca selettive con un basso impatto negativo sugli ecosistemi marini anche con la limitazione di attori di inquinamento derivanti dalla motorizzazione delle imbarcazioni. In linea di massima, tuttavia, si tende a limitare il più possibile l’ampiezza delle zone A di riserva integrale nelle quali la pesca professionale è, di regola, assolutamente vietata mentre nelle due zone più estese, la B e la C , viene introdotta una regolamentazione della pesca professionale con possibilità di svolgere l’attività a favore dei pescatori esercenti la piccola pesca, residenti nei territori costieri interessati, previo rilascio di una autorizzazione da parte degli Enti gestori di ciascuna AMP. L’autorizzazione ha carattere formale in quanto volta al solo accertamento del possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi da parte dei pescatori interessati ma costituisce pur sempre un ulteriore iter burocratico a cui devono soggiacere i pescatori locali.
Altra condizione favorevole è la possibilità dell’esercizio dell’attività di pesca-turismo nelle suddette zone B e C sempre dietro autorizzazione degli Enti gestori. Quindi i pescatori locali possono puntare su queste due opportunità. Occorre precisare che le autorizzazioni degli Enti gestori sono specifiche ed aggiuntive rispetto a quelle ordinarie relative alla pesca professionale (licenza di pesca e Autorizzazioni pesca-turismo) rilasciate dalle Autorità Marittime e che rientrano nel novero dei requisiti di cui si è accennato in precedenza. È evidente che all’interno delle AMP si deve realizzare un bilanciamento tra l’uso ricreativo e quello professionale del mare e da cui, a mio giudizio, proprio la pesca professionale, attraverso le regole ivi introdotte, dovrebbe trarre ottimi benefici. Insomma, il luogo comune che le AMP siano solamente un traguardo ottenuto dagli ambientalisti va convertito nel valorizzare i contributi e/o le rinunce di tanti altri portatori di interessi, compresa la comunità turistica che fruisce con rispetto di questo preziosissimo patrimonio, con la consapevolezza di un possibile ritorno in termini materiali ed immateriali. Peraltro, ciò rappresenta proprio l’indirizzo comunitario in materia di protezione degli habitat di cui alla rete NATURA 2000 sopra richiamata, essendo in pratica una AMP configurata come una ZSC (Zona Speciale di Conservazione) prevista ed incentivata dall’apposita direttiva comunitaria istitutiva della suddetta rete.
Tuttavia, per l’UE è fondamentale garantire che le esigenze di conservazione ambientale non vengano svincolate dal contesto socio-economico del territorio con la progettazione, quindi, di una gestione sostenibile e condivisa delle aree interessate che concili la conservazione con la permanenza delle attività umane in termini di fruizione e di sviluppo economico.
In tale ottica le comunità di pescatori occupano appunto la parte più rilevante sia per interessi diretti che con altre forme di partecipazione come alla diffusione della conoscenza di quei luoghi, attingendo alle tradizioni locali di pesca, nonché alle iniziative sociali, culturali e i carattere didattico-educativo dell’uso del mare. Da osservare che nelle nicchie dei Fondi strutturali istituiti dall’UE al fine del raggiungimento degli obiettivi della PCP, di cui l’ultimo, il FEAMPA (Fondo Europeo Affari Marittimi Pesca e Acquacultura), in corso di attuazione, si possono rinvenire possibilità di finanziamento di iniziative di interesse per le AMP in quanto dirette alla protezione delle risorse e dell’ambiente marino, alla promozione della ricerca su metodi di pesca più selettivi e rispettosi dell’ambiente, alla gestione e monitoraggio. In conclusione, si può affermare che la visione europeistica in materia di protezione degli ecosistemi marini presuppone che tutte le misure da attuare siano frutto di una concertazione tra autorità pubbliche, ricerca scientifica e mondo della pesca in modo da coniugare le esigenze di conservazione degli habitat con quelle economiche, sociali e culturali dei territori interessati.
La bussola Rapporti tra AMP e pesca professionale nel contesto della politica ambientale europea