In fatto di agroalimentare, di eccellenze che legano risorsa e territorio, l’Italia può considerarsi sicuramente leader a livello mondiale. Settore che ha rivendicato e affermato la sua centralità produttiva ed economica in piena emergenza e epidemiologica e che oggi, in epoca post-covid, si pone a paradigma della ripresa.
Il Ministero delle Politiche Agricole sta spendendo tempo ed energie per fare in modo che proprio l’agricoltura, e quindi l’agroalimentare, costituisca il “cuore” della ripresa economica, sociale e in un certo senso anche culturale della ripresa a cui si sta lavorando. La ripresa chiaramente passa attraverso i finanziamenti, e per l’agricoltura tre devono essere i canali:
1) la Legge di Bilancio (che destina oltre un miliardo al comparto primario);
2) il Recovery Fund (che, attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, mette a disposizione fondi che potrebbero permettere salti di qualità senza precedenti );
3) la nuova PAC (che dovrebbe prevedere la necessità di un Piano Straordinario dotato di fondi anche extra).
È fondamentale nutrire economicamente il comparto e potenziare, attraverso le giuste strategie, l’intera filiera agroalimentare Made in Italy. A questo punto noi di UNCI Agroalimentare, come Associazione di Categoria che rappresenta il comparto agricolo, compreso il segmento della pesca, sottolineiamo con forza l’opportunità di “perorare” anche la causa di quest’ultima incoraggiandone il rilancio reale.
Quando si parla di potenziamento della filiera agroalimentare italiana non si può prescindere dalla pesca e anche dall’acquacoltura che, ricordiamolo, forniscono un apporto importante all’intero sistema di filiera. La pesca però, insieme all’acquacoltura, stanno conoscendo un terribile momento di crisi che rischia di lasciare tutti gli addetti senza opportunità di reddito.
Urgono provvedimenti atti a scongiurare conseguenze irreversibili; per fare questo è necessario considerare il segmento pesca parte integrante del comparto agricolo e applicare le stesse politiche di finanziamento, di sostegno e di sviluppo.
La pesca e l’acquacoltura, oltre all’ormai atavica crisi strutturale, hanno subito e subiscono ancora i negativi effetti della pandemia e purtroppo una politica comunitaria completamente disattenta a quelle che sono le problematiche specifiche e anche le peculiarità dell’Italia.
Proprio nei prossimi giorni, si terrà un incontro in Commissione Europea incentrato ancora una volta sulla politica di gestione da applicare al West-Med: una politica purtroppo che possiamo definire estremamente penalizzante per la pesca italiana e che potrebbe decretarne la fine. Un numero di giornate lavorative talmente esiguo da risultare addirittura inutile alla stessa sopravvivenza del comparto; una gestione della pesca dei pelagici in Adriatico che, più che alla salvaguardia della risorsa, sembra mirare all’impoverimento degli addetti; si parla di limitare lo sforzo di pesca in una fascia costiera, quella ionica, in cui l’attività di pesca è limitata per motivazioni intrinseche; per il Mar Tirreno, seppur per le solite e legittimissime finalità di tutela ambientale troveranno attuazione nuove regole per la pesca a strascico.
Crediamo che di questo passo la pesca italiana, a breve giro, non sarà più in grado né di assicurare reddito agli addetti né di portare prodotti sani e di qualità sulle nostre tavole. Questo tipo di politica gestionale determinerà la presenza sempre più costante di prodotto ittico straniero, di dubbia provenienza e di dubbia qualità.
Chiediamo dunque, a esclusiva tutela del comparto, di rivedere certe politiche e di riservare anche alla pesca quell’attenzione e quella volontà di tutela e di rilancio che vengono accordate all’agricoltura. La filiera agroalimentare italiana, fatta di agricoltura, pesca e acquacoltura, va tutelata, sostenuta, finanziata e riprogettata: solo così può avvenire la vera ripresa.