In un recente studio canadese dell’Università di Montreal (Lavoile R. et al., 2018) si sono combinati i dati FAO sul consumo di pesce in 175 paesi e quelli riguardanti la pesca dal 1950 al 2014. Quello che è emerso è che negli ultimi settant’anni l’esposizione al mercurio data dal consumo di pesce è in aumento costante e in molti paesi raggiunge valori oltre i limiti di sicurezza per lo sviluppo fetale imposti dalla legge: per il metil-mercurio sono pari a 1,6 microgrammi per chilo di peso della persona per settimana.
Innanzitutto, è opportuno ricordare in che modo il mercurio viene accumulato nel pesce. Tutto inizia con il mercurio inorganico che piano piano giunge in ambiente acquoso, ad esempio, dopo la combustione di combustibili fossili. Attraverso i batteri anaerobi, viene trasformato in metil-mercurio (la forma più pericolosa) ed entra nella catena alimentare: infatti, si passa da questi microrganismi, al plancton, agli invertebrati, fino ad arrivare ai pesci erbivori e infine ai piscivori. Il mercurio è, difatti, famoso non solo per bioaccumularsi negli organismi, ovvero aumentare di concentrazione nel tempo in un individuo, ma anche per biomagnificare lungo la catena alimentare, ovvero la sua concentrazione aumenta pian piano che si procede verso l’apice della piramide alimentare. Quindi, ad esempio, esemplari di tonno, pesce spada e luccio avranno livelli di mercurio maggiori rispetto a pesci erbivori dello stesso areale. Il consumo di alimenti con elevati livelli di contaminante causa danni al sistema nervoso centrale, in particolare nei bambini e nelle donne incinta, poiché passa anche attraverso la barriera placentare.
Inoltre, la domanda di pesce è fortemente aumentata a partire dagli anni Novanta e gli operatori hanno formato flotte organizzate e hanno iniziato ad usare attrezzi più sofisticati e industrializzati. Tutto ciò ha impoverito areali di pesca e ha portato a uno spostamento dei pescatori verso zone più lontane dalla costa e più profonde. Nella ricerca è sottolineato che parallelamente a una progressiva pressione di pesca, l’assorbimento di mercurio è aumentato oltre i limiti di sicurezza. In particolare, gli areali di pesca più sfruttati, per differenti motivi storici e culturali, sono l’Oceano Pacifico Occidentale Centro-Nord e l’Oceano Indiano. Inoltre, nello stesso periodo le industrie hanno aumentato il quantitativo di mercurio rilasciato nelle acque, soprattutto in queste zone geografiche.
Il risultato è che tra il 2001 e il 2011, la popolazione di 66 paesi su 175 analizzati è stata esposta a livelli di mercurio superiori ai limiti di sicurezza per lo sviluppo fetale (1,6 μg/kg per settimana). In particolare, le Maldive si trovano in cima alla classifica con un consumo di 23 μg di metil-mercurio, seguite poi da Kiribati (8 μg) e dall’Islanda (7,5 μg). L’Italia si trova, fra i paesi occidentali, all’ottantesimo posto con un valore al di sotto di 1,3 μg, mentre la Spagna (2,4 μg) e la Francia (1,8 μg) superano i limiti e la Gran Bretagna (1,1 μg) e gli Stati Uniti (0,8 μg) avrebbero una popolazione meno esposta. Il valore medio mondiale, tuttavia, si attesta a 1,7 μg/kg per settimana, ma ovviamente nasconde livelli di esposizione molto più elevati.
Per concludere, come affermano nello studio, è necessario adottare misure preventive da parte dell’autorità per le categorie a rischio come i bambini e le donne incinta e in allattamento, con particolare riguardo alle zone più esposte e con un consumo di pesce elevato.
Bibliografia
Lavoile R., Bouffard A., Maranger R., Amyot M. (2018). Mercury transport and human exposure from global marine fisheries. Scientific Reports, (8), 6705.